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27/12/24 ore

Il cubismo di George Braque in mostra a Parigi


  • Giovanni Lauricella

Più di duecento opere, principalmente quadri, ma anche statue, foto, lettere, documenti, video ecc., sono esposti al Grand Palais nella prima retrospettiva a lui dedicata per celebrare Georges Braques (1882 – 1963) a cinquanta anni dalla sua morte. 

 

La mostra, curata da Brigitte Léal del Centre Pompidou, ci guida a dipanare le più recenti acquisizioni della critica al riguardo, ispirate alla monografia dello storico tedesco Carl Einstein. La celeberrima frase dispregiativa di Matisse “sembra fatta di piccoli cubi” dedicata al quadro di Braque “Le port de l'Estaque” (1906, in mostra) fu raccolta e fatta propria dal critico d'arte Louis Vauxcelles, che per primo coniò il termine “cubismo”, anche se già Paul Cézanne aveva formulato la possibilità di vedere forme naturali in solidi geometrici.

 

Braque fu uomo ed intellettuale di carattere particolare, molto riservato e rigoroso rispetto alla concezione di artista, in breve un puro che non voleva essere inquadrato nemmeno dalle correnti artistiche a cui aveva contribuito. Su questa base va valutato il suo influsso mediatico, che fu grande in quanto impose lo stile cubista al mondo, benché venisse spesso ostacolato dal suo stesso carattere, troppo serio e schivo per fare di lui una star, ma tale da mantenerlo concentrato e proiettato in ricerche evolutive che andavano dalla musica alla poesia, dalla letteratura alla filosofia.

 

Percorso complesso che si può ben rilevare in quello che è il fenomeno culturale del suo atelier, frequentato da Pierre Reverdy, René Char ed Erik Satie, come testimoniano le numerose fotografie esposte che, costituiscono una sezione a parte, di Man Ray, Doisneau e di Cartier-Bresson, anche se il senso della mostra va incentrato soprattutto in quella costante fedeltà al Cubismo che Reverdy definì «avventura metodica».

 

La figura di Braque va individuata anche nel confronto che ebbe con il suo amico Picasso, che nel tempo doveva superarlo in fama e ricchezza. Di fatto al tempo della loro frequentazione iniziata nel 1907, che pare sia stata assidua, Picasso era un immigrato spagnolo che godeva dell'amicizia e del supporto di Braque, il quale, come sostiene Michelle Puy, faceva più mostre di lui ed era all'epoca più famoso e meglio radicato nella Parigi del primo Novecento, indiscussa capitale di tutte le avanguardie artistiche.

 

Poi le cose cambiarono, e mentre Braque rimaneva un fenomeno parigino, Picasso assumeva un ruolo internazionale che poi gli dette la statura che è da tutti riconosciuta. Questa differenza di livello che man mano cresceva a favore di Picasso mise nel tempo in ombra Braque, non tra gli specialisti naturalmente, ma nel consenso del pubblico, che era orientato da altri fattori, quali la simpatia verso gli esuli spagnoli, il carisma del personaggio Picasso, e le valutazioni sempre in crescita dei suoi dipinti.

 

Ritengo che lo spessore e il significato di questa mostra, oltre che nella fascinazione delle opere che ci permette di vedere riunite, tra cui segnalo “Violino e pipa” del 1913, testimonianza dell'amore per la musica, e “Les oiseaux” (1954-1962) che ritroviamo sulla copertina del catalogo, magistralmente curato da Brigitte Lèal, risieda nell'intento di ristabilire l'equilibrio fra queste due figure di creatori, le più grandi che il cubismo annovera.

 

 


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