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25/11/24 ore

L’arte difficile di Correggio e Parmigianino alle Scuderie del Quirinale


  • Giovanni Lauricella

Parmigianino e Correggio, i pittori difficili, di un periodo in cui gli artisti erano pochi e di grande personalità, capaci di stare nelle corti dei Principi come personaggi di alta statura artistica. Mostra sontuosa, esemplificativa della maniera alta di fare cultura propria delle Scuderie del Quirinale, su cui si riverbera giustamente la grandeur accademica dei vertici istituzionali, per celebrare due maestri del Rinascimento italiano, che condividono con molti grandi, che sono venuti dopo i grandissimi, la dolorosa passione di farsi riconoscere, come nella musica dell’Ottocento è avvenuto a Chopin dopo Beethoven, o a Puccini dopo Verdi, ecc.

 

Nel caso di Parmigianino e Correggio, le vette con cui hanno dovuto misurarsi si chiamano Leonardo, Michelangelo e Raffaello, parimenti vissuti a cavallo tra il Quattro e il Cinquecento, capaci di ingombrare lo spazio culturale al punto di ridurre gli altri pittori, di cui quel lasso di tempo era ricco, a precursori, epigoni, discepoli.

 

Ma Correggio e Parmigianino seppero fare meglio: seppero escogitare ciascuno una propria maniera esperienziale e sperimentale e si scavarono una nicchia di genialità, di unicità cerebrale e colta, che caratterizza in modo indelebile l’area parmense come centro prestigioso di irradiazione dell’arte del Rinascimento. Diverso, ma non inferiore rispetto a Firenze, Venezia e Roma, un centro che aveva la grazia raccolta di una reggia, di una penombra frondosa dove risplendevano sete dai colori di gemme e fiorivano carni rugiadose e avoriacee.

 

Il miracolo stilistico di questi due pittori -che per questo sono da considerarsi difficili, nonostante la piacevolezza e la leggibilità delle immagini che ci hanno donato- viene da chiamarlo con il massimo rispetto sofisticazione: sofisticazione dell’intellettualismo in Parmigianino, sofisticazione della naturalezza in Correggio.

 

Di tutto ciò dà conto la mostra quirinalizia, che sembra volersi porgere come la trasposizione espositiva di una bella lezione accademica, di quando i professori universitari sapevano il fatto loro, e sapevano incantarci spiegando.

 

Quando visito una mostra, sono portato a fare due chiacchiere con gli assistenti piuttosto che ascoltare le guide e così da una gentile ragazza ho appreso che “sì, la mostra sta avendo successo ma non quanto ci si aspettava”. A conferma dell’assunto di cui sopra, che quella di Parmigianino e Correggio è un’arte difficile. Forse oggi più che mai, per i visitatori sfiniti dallo stress giubilare, e, per così dire, stregati dalla misericordia per la bruttezza al punto di non desiderare di gustare la tenerezza del bello. E pensare che la bellezza cesellata e smaltata di Parmigianino, o quella nutrita di rose e di ambra del Correggio, erano la punta estrema della modernità al loro tempo; e ancora lo erano al tempo dell’acutissimo Stendhal, che forse proprio ammirando i bei volti non perfettamente classici del Correggio formulò la celebre tesi che la bellezza altro non è che una promessa di felicità.

 

Il mio scambio di vedute con l’assistente si è svolto nella sala dove è esposta la Danae. Nessuno, a mio parere, ne ha colto l’attualità, quale prima ed efficace rappresentazione di una inseminazione artificiale andata a buon fine, con soddisfazione di tutti. Mi è anche venuto in mente D’Annunzio, che di arte se ne intendeva e di belle donne anche, che nel “Piacere” fa dire al suo eroe alla dama che corteggia: “Voi dovete avere il corpo della Danae del Correggio”. Al che lei gradisce ma replica “Basta, Sperelli: vi prego”.

 

Effettivamente, la bellezza moderna è difficile…Eppure questa mostra, che esprime tanta gloria di invenzioni, lascia un’impressione malinconica, perché, ancorché moderna, questa bellezza è da noi irreparabilmente remota. 

 

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Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento

A cura di David Ekserdjian

Scuderie del Quirinale, 12 marzo – 26 giugno 2016

 

 


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