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23/12/24 ore

Giustizia per Cucchi, ma la gogna mediatica non ci piace


  • Ermes Antonucci

È sempre stato difficile, se non impossibile dal punto di vista umano, non sostenere la battaglia condotta da Ilaria Cucchi per giungere alla verità sulla morte di suo fratello Stefano. Non siamo medici, certo, né tantomeno seguaci della religione dell'uomo qualunque, secondo la quale chiunque detiene il diritto se non il dovere di esprimersi su qualsiasi argomento esistente pur non avendo le competenze necessarie per farlo; ma a prescindere dalle valutazioni di tipo medico, le foto che ritraggono il corpo del cadavere del 32enne geometra romano, con quegli evidenti lividi, ematomi e traumi fisici non presenti nelle foto scattate dalla polizia penitenziaria nel momento in cui Stefano ha fatto il suo arrivo nel carcere di Regina Coeli, esternano una realtà che lascia spazio a ben pochi dubbi.

 

Una violenza, da qualche parte, deve essere avvenuta: in cella, nelle camere di sicurezza del tribunale, o altrove. Restano da chiarire le responsabilità: per gli agenti penitenziari è giunta un'assoluzione in via definitiva, mentre cinque carabinieri sono ora al centro di un'inchiesta bis. L'assoluzione dei primi non implica necessariamente la colpevolezza dei secondi. Il principio fondante di un sistema giudiziario, incluso quello italiano, non è - o non dovrebbe essere - la caccia alle streghe: in aula contano le prove e non i sospetti, e quindi nulla esclude che alla fine delle vicissitudini processuali ci si possa ritrovare, purtroppo, con il corpo martoriato di un ragazzo morto tra le braccia dello Stato e nessun colpevole riconosciuto dalla giustizia.

 

Ciò che invece è possibile affermare sin da ora è che Ilaria Cucchi, con le sue ultime iniziative, sta dimostrando nella maniera tristemente più efficace il modo migliore per passare dalla parte del torto. È proprio chi ha sostenuto (i radicali, e noi con loro, furono i primi) e sostiene strenuamente la sua causa, infatti, che ora non può accettare che sul principale social network del mondo venga diffusa la foto di uno dei carabinieri indagati, e che in questo modo la persona in essa ritratta - ripetiamo: indagata e neanche ancora imputata - sia data in pasto ai forcaioli della Rete, secondo il rituale della gogna pubblica digitale.

 

A contornare il quadro, la solita presa di distanze a scoppio ritardato: "No alla violenza" precisa Ilaria Cucchi un'ora e mezza dopo aver scatenato il putiferio. Ma il dado, nella giungla in cui i grilli e i Casaleggio vorrebbero rifondare l'Italia del futuro, è tratto: c'è chi grida "assassino", chi dà al carabiniere del "pezzo di m…" e chi augura a quest'ultimo di "fare una brutta fine, peggiore di quella di Stefano".    

 

Ma è a leggere le motivazioni del gesto date da Ilaria Cucchi che si comprende come si sia di fronte a qualcosa di persino più preoccupante. "Ho pubblicato questa foto solo per far capire la fisicità e la mentalità di chi ha fatto del male a mio fratello" ha spiegato Cucchi, come a far intendere che dalla foto di una persona in slip dovremmo dedurre non solo la sua "fisicità" (dettaglio in verità irrilevante), ma anche la sua "mentalità" da criminale ed agente violento.

 

Una sorta di analisi lombrosiana dell'indossatore di slip, confermata indirettamente anche in una successiva precisazione: "Ho pubblicato questa foto perché la ritengo e la vedo perfettamente coerente col contenuto dei dialoghi intercettati e con gli atteggiamenti tenuti fino ad oggi dai protagonisti". Da domani vietati palestra e slip: pena la forca digitale.

 

 


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