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20/04/24 ore

Sik Sik l'artefice magico e i cristiani perseguitati in Cina che l'Europa non vuole



di Camillo Maffia

 

Il prof. Massimo Introvigne nel corso della recente conferenza stampa organizzata da LIREC e CESNUR, promossa dall'on. Luigi Lacquaniti alla Camera dei deputati ha spiegato che il problema fondamentale in Cina è rappresentato dalla sinicizzazione, che consiste nell'incanalare i gruppi religiosi all'interno della linea del partito. Xie jiao è un gruppo inserito nella “lista nera” del regime cinese, che pratica insegnamenti eterodossi e vietati. È un movimento su cui è difficile avere informazioni, che ha però in comune con altri connazionali cristiani le condizioni insostenibili della propria esistenza in Cina, aggravate dall'essere xie jiao, termine traducibile approssimativamente come “setta”.

 

Vi sono casi più emblematici della situazione in merito alla libertà di religione e credo nel mondo, e altri meno. Alcuni, come appunto quello della Chiesa di Dio Onnipotente, tendono a modo loro ad esemplificare al meglio, purtroppo, non soltanto la condizione dei cristiani perseguitati, ma anche la spinosa questione dei rifugiati. Si tratta di un gruppo religioso che si differenzia da altre comunità evangeliche per una serie di ragioni: quella che più spicca è la loro fede nel fatto che Cristo sia tornato sulla terra come Dio Onnipotente incarnato, identificato in Yang Xiangbin, una donna cinese attualmente vivente.

 

Ma lo stesso cristianesimo è però uscito dalla condizione di xie jiao solo nell'Ottocento: tale definizione esisteva infatti già nell'Impero ed è stata mutuata dal regime, che ne ha mantenuto l'estrema vaghezza. Oggi il termine indica pressappoco “gruppi che diffondono fallaci superstizioni” e questo spiega la facilità con cui una simile etichetta possa essere addossata a un movimento religioso.

 

Nella nazione asiatica vi sono tre condizioni in cui un gruppo può trovarsi: la prima è quella delle confessioni sinicizzate, come la Chiesa Cattolica e alcune protestanti, i cui dirigenti sono nominati dal governo. Non mettono in discussione in alcun modo l'ideologia comunista, ed è piuttosto la loro dottrina a essere alquanto stravolta dai paletti imposti dal sistema totalitario.

 

Vi sono poi le chiese “domestiche”, come la Chiesa cattolica clandestina, le cui sorti sono spesso imprevedibili e, a giudicare dal testo di legge che dovrebbe essere promulgato nel prossimo febbraio, destinate ad aggravarsi; pur non professando idee necessariamente contrarie a quelle del regime, non sono di fatto controllate da quest'ultimo, perciò in parole povere non hanno vita facile. Oggi pare che la situazione si sia distesa, domani piomba una nuova ondata repressiva.

 

Infine, ci sono i gruppi considerati xie jiao, che per il governo devono essere “estirpati come tumori”. I dirigenti di questi gruppi non sono in alcun modo affiliati al partito e le dottrine professate sono considerate una minaccia per l'ideologia, pur non essendo necessariamente sovversive, com'è appunto il caso della Chiesa di Dio Onnipotente che vede nel comunismo una manifestazione apocalittica del male, ma non propone alcuna rivoluzione.

 

Tali confessioni sono tutte perseguitate in modo efferato: quella in esame ha attirato maggiormente l'attenzione prevalentemente per via del numero di profughi. Sono oltre tremila le persone fuggite dalla Cina chiedendo asilo politico.

 

Gli arrestati dal '95 sono, secondo la Chiesa, trecentomila; vi sono prove di tortura e si sono verificate una trentina di morti sospette in carcere. A complicare ulteriormente le cose, l'astuzia con cui s'è addossato a questo gruppo un omicidio compiuto da un'altra organizzazione in un McDonald's tre anni fa.

 

Le testimonianze diffuse raccontano esistenze insopportabili: “Ho quarantacinque anni, sono un cristiano che fa parte della Chiesa di Dio Onnipotente e sono di nazionalità cinese... Da quando ero piccolo, ho sempre seguito mia madre nella fede in Gesù partecipando agli incontri del movimento delle Chiese domestiche. Da sempre, gli agenti e i funzionari del partito di tanto in tanto facevano irruzione durante i nostri incontri. Ci hanno costretto ad aderire alla Chiesa delle Tre Autonomie, la Chiesa protestante unita fondata dal governo, minacciandoci di arresto se non avessimo obbedito. Per questo ci siamo trovati costretti a fare i nostri incontri nel bosco e nel mezzo della notte, per non farci vedere. Questa era l'unica maniera per continuare a credere, anche se perseguitati dal governo.

 

Nell'agosto del 2000, ho accettato per la prima volta il Vangelo della discesa del regno, aderendo alla Chiesa di Dio Onnipotente, accogliendolo e trasmettendolo poi ad amici e parenti. In quel periodo il numero di convertiti aumentava sempre di più, e di conseguenza il capo del villaggio venne a casa ad ammonirmi: 'Il governo non permette che tu creda alla Chiesa di Dio Onnipotente, se continui a credere e a evangelizzare altri, verrà la polizia e ti arresterà.

 

“Un giorno di settembre del 2000, il capo del villaggio venne nuovamente ad ammonirmi e a minacciarmi per farmi smettere di seguire la mia fede, altrimenti avrebbe fatto rapporto. Mia madre era molto preoccupata per me, e mi consigliava di scappare da casa per andare a nascondermi in modo da non essere arrestato. In quel periodo il mio cuore era oppresso, i miei genitori erano anziani, e guardando mia figlia di sei anni e mio figlio ancora in allattamento, e anche mia moglie, non potevo trattenere le lacrime e non riuscivo a immaginare di lasciare casa mia. Ma se fossi rimasto e mi avessero arrestato, avrei messo ancora più in pericolo i miei famigliari, dunque potevo solo scappare.

 

Anche dopo essere scappato di casa, non mi sentivo affatto al sicuro. Non importava dove fossi scappato, non sarei comunque riuscito a liberarmi della persecuzione del governo cinese. Nel giugno del 2005, mentre stavo predicando il Vangelo in un appartamento con il fratello Yang, cinque poliziotti ci circondarono. Disperato, mi buttai giù dal primo piano, ma tre poliziotti mi inseguirono. Io mi diressi verso un campo tutto allagato e fangoso, ma non era facile lasciare indietro i poliziotti. Il mio piede destro faceva un male insopportabile, non riuscivo più a camminare, così mi nascosi in un cunicolo fognario e aspettai più di mezz’ora. Aiutandomi con un bastone di bambù, andai all'ospedale, dove in seguito alla visita mi dissero che la caviglia era fratturata in modo scomposto. Il medico mi ingessò il piede, che dopo sei mesi di convalescenza iniziò a migliorare gradualmente”…

 

“Il governo cinese, nel suo sforzo di arrestare i credenti della Chiesa di Dio Onnipotente, pubblicò diversi documenti e tappezzò i muri delle città con poster di propaganda contro i credenti, incitando anche i cittadini a segnalare i credenti e le loro attività in cambio di premi in denaro. In queste circostanze critiche, fui scoperto per la seconda volta e arrestato. Un giorno di dicembre del 2012 andai nella città di ShangRao nella provincia del JiangXi a portare la parola del Vangelo ai parenti di un fratello. Non erano trascorsi neanche venti minuti che quattro poliziotti apparirono sulla scena e fecero finta di arrestarmi.

 

In realtà a metà strada fra il luogo dell’arresto e la stazione di polizia, nel buio, c'erano decine di furfanti chiamati dalla polizia che mi attaccarono. Ognuno di questi furfanti aveva in mano un bastone di legno lungo più di un metro. In un attimo mi circondarono dicendo: 'Come osi venire nella nostra cittadina ad evangelizzare? Oggi ti ammazziamo di botte'. Mentre dicevano queste parole, mi picchiavano con le mazze di legno e mi tiravano calci: mi ridussero la faccia a una maschera di sangue, il mio corpo era a pezzi e alla fine svenni, e sentivo le loro voci offuscate che dicevano: 'Qua abbiamo risolto la situazione, venite...'.

 

In un attimo i poliziotti arrivarono e mi caricarono su una macchina, l'agente all'interno mi tirò per i capelli e mi diede una sfilza di pugni sulle tempie; mentre mi picchiava diceva: 'Ti ammazzo di botte, e dopo vediamo se crederai ancora!'. Ero stato picchiato al punto che il mio viso sembrava dovesse esplodere, sentivo la morte davanti ai miei occhi, potevo solo continuare a pregare. Arrivato alla stazione di polizia iniziò subito l'interrogatorio, ma io per il male non riuscivo neanche a stare in piedi e caddi sul pavimento, tutto il mio corpo tremava e dalla bocca usciva saliva... Dopo più di un anno di cure mi ripresi gradualmente, ma mi portai dietro i postumi della malattia e sono tuttora tormentato da forti mal di testa”…

 

“Nel periodo in cui ero stato costretto a vivere lontano da casa, sentivo un’incredibile nostalgia dei miei familiari. Così un giorno, il 30 dicembre 2007, con il rischio di essere arrestato, decisi di tornare di nascosto a casa per rivedere la famiglia che avevo lasciato sette anni prima. Nel momento in cui aprii la porta di casa, mio padre mi guardò pieno di lacrime: non era possibile parlare, mia moglie su un lato si asciugava di nascosto le lacrime, i miei figli mi guardavano ma non osavano chiamarmi papà. Davanti a questa scena il mio cuore si spezzava: per via delle persecuzioni del governo cinese non ho avuto la possibilità di onorare i miei genitori, né di occuparmi di mia moglie al meglio e nemmeno di crescere quelle giovani creature che erano i miei figli.

 

Oltre a ciò, i miei familiari hanno subito lo scherno e gli insulti della gente del villaggio; per via dell'insensata persecuzione dei credenti da parte del governo, la mia famiglia ha sofferto momenti di incredibile dolore. Mia madre mi disse che, dopo che me ne ero andato la prima volta, la polizia venne a fare una perquisizione della casa e per due volte la portarono all'ufficio di polizia per interrogarla e avere informazioni sul mio conto. Così per prevenire il ritorno della polizia e il mio arresto, dopo qualche giorno a casa, fui costretto a scappare nuovamente. Dal 2013 al maggio 2015 in totale ho cambiato più di trenta abitazioni, ma ovunque andassi non c'era modo di evitare l'arresto o la persecuzione. In Cina nessun posto è sicuro per me, per questo nell'ottobre del 2015 sono scappato e sono venuto in Italia a chiedere la protezione del governo italiano”.

 

Un altro credente racconta: “Nel giugno del 2003, mentre mi spostavo in motocicletta per evangelizzare, la polizia mi fermò per un controllo dei documenti. Vide il libro sacro della Chiesa di Dio Onnipotente e mi portò via. Chiesi ai poliziotti perché mi stavano arrestando, visto che non avevo violato nessuna legge. Uno dei poliziotti mi urlò: 'In Cina essere credenti è appunto la violazione di una legge!'.

 

Arrivati al posto di polizia, anche i membri dell’Ufficio per la religione vennero per partecipare all’interrogatorio. Non ottennero da me nessuna informazione sulla Chiesa, così mi tirarono uno schiaffo e subito dopo un poliziotto grasso mi prese a calci e pugni. Arrivata la sera, un poliziotto venne da me e mi legò insieme con una corda di canapa i due pollici. Legò così stretto che mi faceva molto male, e non chiusi gli occhi per tutta la notte. Il secondo giorno, la corda aveva già scavato dei solchi profondi nella carne, i pollici erano neri e insensibili. La polizia mi ordinò di divaricare le braccia e le gambe. Dopo qualche minuto avevo la fronte sudata e mi mancavano le forze per sostenermi. Il poliziotto mi schiaffeggiò diverse volte, poi mi picchiò sulla testa usando un libro.

 

Il mio viso era stato colpito fino a bruciare dal male, le mie orecchie emettevano un ronzio. Poi chiesi di andare al bagno: me lo proibirono e mi coprirono di insulti. Dopo essermi trattenuto per tanto tempo, quando la polizia mi portò in bagno non riuscivo a urinare. Il poliziotto mi costrinse a tornare nella stanza dell'interrogatorio, dove mi forzò a inginocchiarmi su una padella di soli dieci centimetri di diametro. I bordi metallici del recipiente mi entravano nelle ginocchia, facendo un male insopportabile. Dopo poco tempo caddi a terra. Senza che l'interrogatorio fosse mai stato portato a termine, senza nessun tipo di processo legale, il governo mi condannò a un anno di lavori forzati con l'accusa di avere violato l’articolo 300 del codice penale, che vieta qualunque attività nell’ambito degli xie jiao, un’espressione che il governo stesso traduce con 'sette malvagie' ma che di fatto indica le religioni che non piacciono al Partito Comunista Cinese”…

 

“Il 25 agosto 2003 fui incarcerato nella 'struttura di rieducazione' di Ru Jiang. Appena entrato nella prigione, i poliziotti iniziarono a istigare gli altri detenuti a tormentarmi. Sono stato costretto dai criminali della prigione a spogliarmi completamente e a mettermi a gambe e braccia divaricate spalancando la bocca davanti a tutti, poi quasi mi soffocarono buttandomi un getto d'acqua continuo sul viso. In prigione i credenti sono considerati criminali politici, quindi del più basso livello: sia i secondini sia i prigionieri potevano maltrattarci e insultarci.

 

All'interno della cosiddetta struttura di rieducazione si viveva una vita inumana, in cinquanta metri quadrati vivevano più di settanta persone, le condizioni igieniche erano pessime. Ogni giorno dovevo fare quattordici ore di lavori pesanti, beninteso senza nessuna remunerazione. Ogni giorno si mangiava riso in bianco, spesso con mosche all'interno, e una zuppa di verdure senza un filo d'olio. Di conseguenza durante il lavoro ero sempre stremato. La sera, al momento di dormire, si sentivano le urla dei detenuti picchiati dalle guardie nelle celle a fianco, una cosa che mi incuteva una grande paura. I lavori pesantissimi, i maltrattamenti della polizia, il bullismo degli altri prigionieri, con la fame, la mente e il corpo stremati alla fine mi fecero ammalare. Il problema è che in prigione non si ha nessun aiuto a guarire. Il prigioniero nel letto davanti a me aveva anche provato a suicidarsi...

 

Dopo il mio rilascio, la polizia si presentò a casa mia facendo nuove domande e dicendomi che non mi era permesso continuare a fare parte della Chiesa, altrimenti mi avrebbero arrestato di nuovo. Per nascondermi da un nuovo arresto da parte del governo e per la sicurezza dei miei familiari, non ebbi altra scelta che scappare lasciando la mia casa. Nei dieci anni abbondanti in cui sono stato via di casa, per via dei continui controlli dei permessi di residenza da parte del governo e per via delle ricompense in denaro elargite a chi ci denuncia, che coinvolgono anche i comuni cittadini nella persecuzione dei credenti, non potevo far altro che cambiare casa molto spesso, senza stare mai molto nello stesso posto. Nel luglio 2015, molti fratelli furono arrestati dalla polizia, e nella loro sorveglianza tramite video compariva anche la mia immagine. Sarei stato certamente arrestato di nuovo. Per disperazione, nell'ottobre 2015 scappai per venire in Italia”.

 

I membri di questa religione sono stati dunque costretti a fuggire in numero ragguardevole, fornendo così una tragica rappresentazione della libertà religiosa in Cina ma, come notavamo, non solo: ci offrono anche un miserabile spaccato del sistema d'accoglienza dei rifugiati. E sì, perché i perseguitati, vittime di indicibili torture e vessazioni di ogni genere, hanno cercato aiuto nei Paesi europei, Italia inclusa, che stanno però facendo a gara per respingere le loro domande, al punto che in alcuni Stati – Francia e Svizzera in testa – sono già cominciati i rimpatri. La nazione elvetica, per l'esattezza, ne ha già rimandati a casa otto, fra cui una donna che al suo arrivo è stata arrestata, di cui non si ha più alcuna notizia. In Canada le domande sono state accolte al 90%, in Italia soltanto il 10%.

 

Il nostro Paese sembra non ritenere vi siano sufficienti prove a sostegno delle persecuzioni ma, ricordava sempre il prof. Introvigne, le direttive ONU del 2004 prevedono l'accoglimento della domanda in caso vi siano fondati timori di persecuzione, non immaginano certo che chi è sfuggito alla morte o alla tortura debba pure esibire puntuali prove documentali di quello che ha passato; ed essendo la lista dei gruppi Xie Jiao pubblica, non si capisce cosa vi sia di più fondato del timore che i membri della Chiesa di Dio Onnipotente subiscano persecuzioni. Fatto sta che in Europa su 1754 domande di asilo 98 sono state accolte e 780 rifiutate, di cui 156 con ordine di rimpatrio.

 

Questo fa riflettere, specialmente se si considera il dibattito sull'accoglienza, il quale si fonda essenzialmente su una domanda: va bene i rifugiati, ma ha senso o no far entrare una persona che, pur emigrando da situazioni certamente non semplici, non viene da un Paese in guerra né è vittima di persecuzioni? Il quesito sarebbe ben posto se l'Europa accogliesse sia i perseguitati sia gli altri che partono in cerca di un'opportunità. In questo caso, avrebbe senso un dibattito come quello attuale, diviso tra chi sostiene che l'accoglienza ai rifugiati non è in discussione, ma chi non è vittima che della povertà deve tornarsene a casa perché non c'è spazio per tutti; e chi invece sostiene che possiamo accogliere gli uni e gli altri.

 

Ma la verità è che le logiche dell'accoglienza sono altre, altrimenti non si spiega per quale ragione siano accolte persone che non provengono da scenari di guerra né di tortura, mentre a vittime di evidenti forme di persecuzione viene rifiutata la permanenza. Basti pensare al modo in cui il Ministero dell'Interno sta negando la possibilità ai martiri cinesi di potersi stabilire a casa nostra, pur sapendo che andranno incontro, se non a morte certa, a trattamenti inumani, violenza, detenzione e lavori forzati qualora dovessero rimettere piede nella nazione da cui sono fuggiti.

 

Ciò è curioso, per due ragioni: la prima è che a nessuno piace inimicarsi il colosso asiatico, il quale ha disseminato delle vere e proprie spie, stando ai racconti dei rifugiati (che hanno trovato riscontro nelle analisi degli accademici del settore), per “stanare” i cristiani perseguitati anche fuori dai propri confini; la seconda è che i cinesi non passano dal Mediterraneo e non si servono quindi – spiace dirlo – né degli scafisti né delle ONG per cercare asilo in Europa. Dunque intorno a loro non c'è, come si dice, il business, o' bisinissi

 

O' bisinissi appare dunque una discriminante di rilievo nei criteri con cui s'accoglie nel nostro Paese: un giovane uomo solo senza lavoro, il cui viaggio disperato ha alimentato un sistema criminale, viene accolto anche se non è fuggito dalle persecuzioni o dalla guerra. Qui questa scelta non si discute: a noi non interessa stabilire se sia il caso o meno di accoglierlo, ci appassiona unicamente la contraddizione. Perché un altro, il quale fugge dalle orrende e proverbiali torture cinesi, ma la sua fuga non ha alimentato né il sistema criminale né quello assistenziale (che talvolta, stando a quanto rilevano ormai da anni le procure, coincidono volentieri), è bene che se ne torni a casa sua, augurandogli di cavarsela come meglio può.

 

E se non è ipocrisia questa, tocca trovare alla parola una nuova definizione. Questa storia dei rifugiati ricorda ormai quella di “Sik Sik l'artefice magico”, un atto unico di Eduardo De Filippo. Lì un prestigiatore attende da molto il compare che, nascosto tra il pubblico, gli dovrebbe poi reggere il sacco: costui non si fa vedere, e non manca tanto all'inizio del numero. È quindi costretto a preparare rapidamente un altro complice con cui eseguire i trucchi di scena; se non che, a pochi minuti dallo spettacolo, si presenta il primo compare. I due rivali litigano, salgono sul palco insieme e mandano all'aria tutto quanto, palesando il fatto che vi era un accordo preesistente.

 

Ecco, se si sostituisce al prestigiatore certa politica dal cuore d'oro, al primo compare alcune ONG e al secondo la criminalità organizzata, si spiega non solo perché il pubblico da anni non crede più alla magia della solidarietà, ma anche perché i cristiani cinesi oggi debbano tornare negli istituti di rieducazione a farsi pestare, mangiando riso bianco con le mosche.

 

 


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