Sarà votato entro giovedì dall'aula della Camera il ddl di riforma della giustizia penale, e i nostrani giornalisti-passacarte delle procure già si sono scatenati, definendo quelle sulle intercettazioni delle norme "bavaglio", inaccettabili in un Paese democratico.
Peccato che nel conformarsi all'unica deontologia che riconoscono, quella forcaiola, i difensori della libertà di stampa (la propria) non si siano accorti di un piccolo dettaglio, e cioè che il ddl in votazione alla Camera non contiene alcuna disposizione che limita l'uso e la pubblicazione delle intercettazioni, ma prevede invece semplicemente una delega al governo, al fine di stabilire prescrizioni che incidano sulle "modalità di utilizzazione delle captazioni", con riguardo "alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni di persone occasionalmente coinvolte".
Nel testo di legge, insomma, vi è soltanto l'affermazione di un principio, peraltro di buon senso. Ma l'allarme ormai è stato lanciato: bavaglio deve essere, e bavaglio è. Ecco allora che su "Repubblica" - in attesa di un'ennesima campagna post-it - la fida Liana Milella si scaglia in maniera spietata contro il progetto di riforma, stando attenta anche agli aggettivi da utilizzare: la legge diventa così, neanche a dirlo, una "stretta sulle intercettazioni", nonché "un disegno di legge monstre" (anche se 34 articoli per una revisione della giustizia penale non ci sembrano affatto una cifra straordinaria), mentre il testo della norma-delega sulle intercettazioni appare - sempre secondo Milella - "estremamente vago" (da qui la domanda logica, e per questo inopportuna: come fa il ddl a costituire un bavaglio se questo è in realtà "estremamente vago"? Mistero della fede, quella giustizialista).
Ma il meglio, la storica cronista giudiziaria di "Repubblica", lo dà quando passa a spiegare i motivi per cui in sostanza la legge rappresenterebbe un attentato alla libertà di stampa. Non essendoci, come abbiamo visto, nel concreto, nulla di nulla, Milella prima si aggrappa al noto emendamento Pagano, che però - altro piccolo dettaglio - non esiste più, affermando erroneamente che "bisognerà stare attenti a registrare una conversazione e renderla pubblica, perché si rischiano da 6 mesi a 4 anni di carcere", e poi passa in rassegna le autorevoli opinioni di alcuni soggetti particolarmente interessati alla questione. Chi? Associazione nazionale magistrati e Movimento 5 Stelle, ovviamente.
Da un lato, così, si cita il presidente dell'Anm Rodolfo Maria Sabelli, che parla di "delega generica e in bianco", temendo che vi si nasconda "un pregiudizio di fondo contro le intercettazioni"; dall'altro si riportano le dichiarazioni del grillino Vittorio Ferraresi, convinto che il governo voglia "togliere i diritti agli imputati e alle vittime dei reati e limitare anche i poteri dei magistrati".
A fare da cornice a questo quadro manettaro, ci pensa un'ultima considerazione di Milella, difensora delle cause magistratuali, che definisce il semplice invito del vice Guardasigilli Enrico Costa ad esercitare un'azione disciplinare nei confronti dei magistrati autori di detenzioni rivelatesi ingiuste, "un'altra mina vagante sulle toghe".
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