“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. In nome di questo dettato costituzionale inserito nell’articolo 11 della Carta si consuma una delle più grandi ipocrisie italiane. Ciò accade almeno dalla prima guerra del Golfo Persico contro l’Iraq di Saddam invasore del Kuwait e si ripete tutte le volte che l’Italia è chiamata a intervenire più o meno simbolicaumente in scenari di guerra.
Guerra, appunto: lemma impronunciabile che comporta spesso un patetico esercizio di stile con annessa arrampicata sugli specchi, per giustificare in qualche modo la violazione di un “sacro” principio costituzionale. Memorabili restano le querelle parlamentari su regole d’ingaggio, missioni di peacekeeping ed eufemismi vari. Si ricorda con una certa "tenerezza" l’ostinazione di quanti facevano la differenza fra azione di ricognizione e di copertura ai cacciabombardieri altrui e l'effettivo lancio di bombe su Belgrado. Con la guerra del Kosovo si arrivò a negare persino la nostra partecipazione ad atti di guerra, mentre facevamo con le nostre basi Nato pure da portaerei terrestre della coalizione anti-Milosevic.
Ma l’Italia, come detto, “ripudia la guerra”. Quindi, andrà ancora una volta giustificato in qualche modo alla sempre più distratta opinione pubblica l’eventuale intervento armato nei cieli dell’Iraq o chissà dove contro l’Isis. Come sempre in questi casi, la notizia è uscita in sordina a mezzo indiscrezione, seguita da parziale smentita e successiva ammissione del ministro della Difesa, fra distinguo e rinvii a prossime decisioni del Parlamento.
Per il via libera bellicoso ai nostri Tornado sarà infatti necessaria l’approvazione di un testo che – quadrato faticosamente il cerchio – dovrà giocoforza contenere la formula lessicale che neghi l’innegabile e rispetti l’indole "pacifista" degli “italiani brava gente”, quando invece sarebbe preferibile e più sano – visto che si è in vena di modifiche alla “Costituzione più bella del mondo” – emendare il suddetto velleitario articolo, nato sotto le macerie della II guerra mondiale, in modo da renderlo funzionale al ruolo che l’Italia ha sempre preteso di svolgere nelle crisi internazionali.
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