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16/11/24 ore

Alfio Marchini, l’uomo dell’inconsistenza dei partiti


  • Ermes Antonucci

"A Roma, Pd e Forza Italia uniti con Marchini per non rischiare una deriva M5S". A lanciare la strana proposta è stata il ministro della Salute Beatrice Lorenzin: "In questo momento bisogna andare oltre i partiti politici, la città ha bisogno di qualcosa di più. Devono stare insieme persone che hanno veramente qualcosa da dare alla Capitale, in primis alle periferie ormai in uno stato di degrado molto grave". 

 

Chi dunque, secondo Lorenzin, sarebbe meglio di Alfio Marchini, imprenditore per eredità ed ex giocatore di polo? Ora, che il Movimento di Grillo presenti con sé un elemento di pericolosità dal punto di vista politico, costituito dalla sua "filosofia dell'amatorialità" - che spesso si traduce (come già abbiamo avuto modo di vedere in alcune città in mano al M5S) in "filosofia dell'incapacità" - è evidente. E ciò diverrebbe ancor più chiaro nel caso di una città così complessa come Roma, la capitale d'Italia. Persino gli stessi vertici del Movimento, d'altronde, ne paiono consapevoli, tant'è che nella corsa al Campidoglio si ostinano a non voler presentare un candidato di possibile successo (Di Battista in primis) per il terrore di vincere, e rischiare di macchiare l'immagine del partito con un fallimento di governo prima delle elezioni nazionali.

 

Parliamo di inesperti (spesso incapaci), però, e non di "nazisti" (tra virgolette), come invece sembra sottintendere l'idea lanciata da Lorenzin: quella di creare un fronte comune di emergenza, in grado di unire centrodestra e centrosinistra, per fermare l'ascesa dei grillini, sospendendo di fatto la normale competizione elettorale.

 

Questa lettura, in realtà, cela una questione ben più grossa, da noi segnalata più volte e che i principali partiti mostrano di non voler cogliere: l'assoluta incapacità di selezionare una classe dirigente da presentare alle elezioni.

 

Lasciando da parte il M5S (che una classe dirigente, stupidamente, non vuole proprio crearla per principio), in vista delle prossime amministrative, i grandi partiti non sanno dove sbattere la testa. Forza Italia è da tempo allo sbando: la permanenza di Berlusconi al vertice - a mo' di reliquia - continua a negare l'emergere di personalità politiche alternative; e questo immobilismo si risolve in una subalternità alla Lega. Dall'altra parte, Renzi ha fondato il Partito democratico sul culto esclusivo della sua personalità, e non vi è spazio per nessun'altro, anche a livello locale. Come risultato, si moltiplicano disperatamente gli appelli a candidarsi nei confronti di commissari, prefetti, tecnici, magistrati, imprenditori, e chi più ne ha più ne metta.

 

Richiami imbarazzanti, e che stavolta individuano in Marchini un possibile deus ex machina, da calare in politica nonostante gli stessi renziani vadano in giro da tempo a sostenere che "è tempo che la politica torni ad essere fatta dai politici". Come se, poi, l'imprenditore romano avesse mostrato di possedere chissà quale strabiliante intelligenza politica. In verità il suo populismo - quello del "destra o sinistra non importa" o del "la politica deve tornare a dire cosa è il bene e cosa è il male, e non lasciare questo compito al Papa" (come se il ruolo del politico fosse quello del prete) - rispetto al populismo dei grillini non è da meno.

 

 


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