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15/11/24 ore

L’Italia leaderizzata


  • Silvio Pergameno

E’ opinione diffusa che la crisi della prima Repubblica sia stata la crisi dei partiti, che tanto avevano dominato la politica dal 1945 al 1992, e che oggi, al posto delle grandi formazioni politiche, la scena sia tenuta  da uno sciame di leader.

 

Sull’argomento è comparso un breve ma significativo intervento (Corriere della Sera del 5 aprile) dovuto alla penna del prof. Giuseppe Bedeschi, ordinario di Storia della filosofia alla “Sapienza” e autorevole studioso in particolare del marxismo e del liberalismo, il quale però su tale corrente opinione formula le sue riserve.

 

Bedeschi, infatti, condivide il pensiero di Mauro Calise (“La democrazia del leader”, uscito lo scorso gennaio pei tipi di Laterza) là dove afferma che i leaders attuali sono, certamente “perno di comunicazione, mobilitazione e decisione”, ma rileva che sono privi, a differenza di De Gasperi e Togliatti - che erano certamente grandi leader – sia di un entroterra culturale profondo sia del fondamentale apporto dato da un’organizzazione di partito (in particolare il PCI con le sue le 12.500  sezioni) e da un contorno di grandi associazioni… (soprattutto la DC con le ACLI, l’Azione Cattolica, … - anche se Bedeschi non menziona le ventinovemila parrocchie e le 269 diocesi…); entrambi avevano poi un  grande sindacato di riferimento.

 

Per Bedeschi, comunque i leaders di oggi non sono onnipotenti, perché l’opinione pubblica ha mezzi per esprimersi (giornali, canali televisivi, blog…) ed è un “tribunale dell’opinione pubblica”; esiste cioè una “democrazia dei cittadini-elettori, la quale decide il destino dei leader”, lo si è riscontrato nel declino di Berlusconi e nella mancata vittoria della sinistra nelle ultime elezioni. 

 

Così ricapitolato l’intervento del prof. Bedeschi, scusandoci per le manchevolezze alle quali i riassunti sono sempre esposti, osserviamo che l’analisi che il testo offre non ci appare persuasiva, soprattutto nelle conclusioni. Intanto il dubbio su una democrazia di cittadini-elettori senza veri partiti, sia perché, in generale, difficile da concepire e ancor più da mettere in atto, e poi perché, proprio nella fattispecie nostra nazionale, i mezzi attraverso i quali si esprime sono molto condizionati, tranne forse il blog -, che però rivela, quasi esclusivamente, un risentimento epidermico quando non un ribelllismo protestatario.

 

Si tratterebbe comunque di una democrazia fragilissima, costantemente esposta al rischio delle tentazioni autoritarie di natura e con percorso plebiscitario. Di esperienze la storia recente ne è piena.

 

E non si tratta di lasciarsi sedurre dalle acritiche apologie dalle quali vecchi partiti -  o quanto ne rimane -  non riescono a prendere le distanze, evidentemente perché non sanno fare di meglio che insistere sul passato. Un passato non disonorevole, certo, ma pieno di limiti, che, come radicali, abbiamo sempre sottolineato e, quando necessario, combattuto.

 

E le nostre critiche sono oggi da considerare tanto più valide, perché i fondamenti (che si rintracciano certo anche nella nostra Costituzione, ma soprattutto in tante interpretazioni e applicazioni – tendenziali - che ne sono state fatte proprio ai tempi della prima Repubblica), hanno alla fine portato al crollo di un regime senza eredi, lasciando un vuoto che tutti sono bravi a lamentare, ma che, per colmarlo, non si trova chi sappia indicare vie di uscita e nemmeno a prospettare un criterio di guida. Oggi è corrente la constatazione che la sinistra è in crisi in tutta Europa. Già, ma…c’è crisi e crisi….

 

E il nuovo (se tale è) appare connotato da quella fragilità estrema, cui sono sempre esposti tutti i populismi, e lo diciamo senza voler fare processi alle intenzioni o lasciarsi andare alla cultura dei sospetti, che non ci appartiene. Ma non a caso qualche riga più sopra abbiamo sottolineato il vuoto in cui il paese fa fatica di navigare e a trovare una bussola.

 

Facile allora trovar seguito presentandosi con la bandiera dell’onestà contro il malcostume generalizzato e ottenere consenso come campioni di bravura in un paese di inconcludenti: ma  è il cammino sul quale si costruisce l’ondata plebiscitaria e si travolge il malaffare a suon di luoghi comuni e di facile appeal. Tutto bene, però poi spunta il leader che fa il passo successivo…E’ già successo cent’anni fa, un po’ in tutta Europa, pur con qualche eccezione (non qui da noi).

 

 


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