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12/10/24 ore

Libertà individuali e salute collettiva. Il necessario bilanciamento dell’emergenza



di Fabio Viglione

 

Forse solo attingendo alla letteratura apocalittica ed alla cinematografia catastrofista si sarebbe potuto trarre spunto per prendere in prestito alcune delle immagini che oggi fanno parte del nostro quotidiano. Basta affacciarsi alle finestre per sentirsi proiettati in una ambientazione distopica che richiama scenari postatomici. In molte parti del territorio, quartieri deserti ed uno sparuto numero di persone in strada che si dirigono, opportunamente distanziate l’una dall’altra - in guanti di lattice e mascherine - nei pochi spacci di rivendita autorizzati a somministrare prodotti di consumo domestico.

 

Nessuna cautela può ritenersi, allo stato, eccessiva. Sarebbe immotivato, oltre che pienamente avversato dalla comunità scientifica, sostenere il contrario. Sarebbe imprudente la sottovalutazione dei rischi. Il numero dei contagi e dei decessi è, drammaticamente, sotto gli occhi di tutti. Numeri incredibilmente seri che hanno messo in ginocchio alcune specifiche aree territoriali. Con il rischio di allargarle.

 

Non c’è scelta nella situazione in cui ci troviamo. Bisogna stravolgere l’agenda delle priorità, l’agenda di ciascuno di noi. Gli eroici interventi di medici, infermieri, personale sanitario, protezione civile, forze dell’ordine, volontariat, ecc., sarebbero insufficienti se non associati ad una coscienza individuale e collettiva.

 

Più che doverosi gli appelli a rimanere a casa ed evitare contatti sociali. Inutile girarci intorno, sono state profondamente sradicate le nostre libertà dal terreno della ordinarietà quotidiana. Siamo stati chiamati tutti a subire una inevitabile compressione dei nostri diritti e a rivoluzionare le nostre vite.

 

Tuttavia, trattandosi di una necessità, doverosamente imposta nel superiore interesse della salute pubblica, della tutela di tutti e di ciascuno, ci muoviamo nell’ambito di una situazione necessariamente temporanea. Sì, necessariamente temporanea. Come a dire, se vai sott’acqua devi provvisoriamente trattenere il respiro ma durerà il tempo dell’immersione. Poi, risalito su, devi poter tornare a respirare. Necessariamente perché solo respirando puoi essere ancora in vita.

 

 

Così intendo questo periodo, solo così, può ritenersi bilanciabile, a mio avviso, la compressione delle libertà individuali con quella democratica. Perché anche la democrazia ha i suoi anticorpi e le sue peculiarità quando è reale.  Ed allora, la inevitabile contrazione della libertà la leggo come la necessità di dare spazio ad un’altra libertà: quella ad essere curato nel rispetto di criteri di uguaglianza. Che si abbiano gravi patologie pregresse o età avanzata, tutti devono essere aiutati a “superare”l’incontro con il virus.

 

Non sarebbe accettabile arrivare a dover scegliere a quale paziente offrire il respiratore artificiale in base ad opzioni ciniche e soprattutto, lontane dal principio di uguaglianza. In questo senso, la proporzione tra “bisognosi” di cure e mezzi disponibili deve tornare (o diventare) se non virtuosa quantomeno accettabile. Che possa, cioè garantire adeguata assistenza a tutti senza distinzioni.

 

È in questo tempo che la straordinarietà che legittima i provvedimenti dovrà consumarsi. Ed è proprio in questo scarto che si coglie la difficile linea di demarcazione tra la obbligatorietà (e la sua legittimità) della compressione dei diritti individuali e la necessità del sacrificio per la salute pubblica. In un momento in cui, come non era mai accaduto prima, dai comportamenti del singolo può dipendere la salute di tutti.

 

 


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