Qualunque sia il problema - la povertà o la fame nel mondo, la disoccupazione o l’inflazione, il cambiamento climatico o il dissesto idrogeologico, la carestia o l’invasione delle cavallette - la colpa è sempre delle “politiche neoliberali”.
In Italia (paese campione di debito pubblico, di statalismo e di corporativismo) questa chiave di lettura domina da anni con diverse sfumature: comunista, socialista, cattolica, fascista.
Nel 2024 tuttavia qualcosa è cambiato. Un elemento di disturbo al pensiero prevalente si è insinuato nel dibattito pubblico: Milei ha vinto le elezioni in Argentina, promettendo una nuova era ai cittadini di un Paese in bancarotta fraudolenta.
Una volta al potere, si scommetteva che il “matto con la motosega” avrebbe avuto vita politica breve, se solo avesse abbozzato il programma “ultra-liberista” annunciato in campagna elettorale. E invece contro tutti i pronostici, manuale di scuola austriaca alla mano, il neo-presidente ha iniziato a far seguire i fatti alle parole: drastico taglio di spesa dal lato della domanda, liberalizzazioni e deregolamentazione dal lato dell’offerta, abbattimento dei dazi, eliminazione del controllo sui prezzi…
Dopo un anno, il piano “liberista selvaggio” ha dato i suoi primi frutti: si è passati da un deficit a un surplus di bilancio per la prima volta dopo oltre 100 anni; l’inflazione, che aveva reso la moneta nazionale cartastraccia, ha avuto un crollo senza precedenti; l’occupazione e i salari reali hanno sostanzialmente tenuto; la forte recessione per la terapia shock, temuta anche dagli economisti del variegato mondo liberale, non c’è stata.
Ma tutto questo a quale prezzo?
Lo stesso Milei non aveva negato il costo sociale come medicina necessaria. Il dato sulla povertà, cresciuto dal 40 al 50 per cento nel primo trimestre del 2024, inizialmente sembrava darne conferma. Ma dalle stime di dicembre è arrivata l’ennesima sorpresa: nel terzo trimestre 2024 la povertà è calata al 38,9 (contro il 44,8 dell’ultimo trimestre del 2023); e anche il tasso di indigenza è sceso al 9,8% dal 13,8%. Altro che “macelleria sociale”.
Il 2025 ci dirà se è tutto oro quello che luccica. Gli analisti e gli addetti ai lavori considerano l’Argentina “un laboratorio interessante che offre spunti di riflessione su come affrontare le crisi profonde”.
Sul fronte politico, l’inedito argentino è invece motivo per uno scontro ideologico: più che fra i due classici estremi socialismo-liberismo, fra due modi di ritenersi liberali in economia. Dopo la parentesi di Reagan e di Thatcher, il neo-keynesismo ha preso il sopravvento con alterne fortune. Proprio oggi che gli eccessi interventisti presentano il conto a un Occidente barcollante, il successo delle ricette economiche che si rifanno al pensiero di von Mises e von Hayek sono viste con cauto scetticismo. Non sia mai che abbiano davvero successo.
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