“Confermare un rinnovato impegno dell’Italia per quanto riguarda la questione Somalia” così Emma Bonino si è rivolta ai giornalisti in occasione della Conferenza internazionale sulla Somalia che si è svolta Londra lo scorso 7 Maggio, nel suo esordio internazionale come ministro degli esteri italiano.
Il legame esistente fra i due paesi “non è solamente storico ma deriva dalla consapevolezza dell’importanza del processo di stabilizzazione della Somalia” all’interno di tutta la regione del Corno d’Africa, per le gravi criticità che quest’area presenta, ribadisce la ministra.
E’ necessario che l’Italia persegua queste finalità sia giocando un ruolo diretto e bilaterale che agendo in quanto Stato membro dell’Unione europea, pronto a coinvolgerla e a ridestarne l’attenzione il più possibile.
L’evento, al quale hanno partecipato 54 delegazioni tra Stati e Organizzazioni internazionali, è stato co-presieduto dal primo ministro britannico David Cameron e dal presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, eletto lo scorso settembre. Sono state affrontate quattro grandi tematiche: sicurezza; giustizia e polizia; accountability e gestione delle risorse finanziarie da parte del Governo somalo; processo politico.
E’ chiaro che in una realtà gravemente segnata da vent’anni di guerra civile e da una spaventosa emergenza umanitaria, la mancanza di istituzioni stabili contribuisce a minare la tutela della popolazione contro la violenza e le privazioni che è costretta a subire per quanto riguarda i diritti umani e le libertà fondamentali.
Inoltre bisogna tener conto del fatto che il Paese è stato colpito da una grave carestia che fra il 2010 e il 2012 ha portato alla morte 260.000 persone, metà delle quali erano bambini al di sotto dei cinque anni di età, secondo i dati diffusi da un rapporto della FAO.
A causa della carestia e della guerra civile, più di un milione di somali è fuggito nei paesi vicini, mentre circa 500.000 sono sfollati in campi profughi. Nella parte meridionale del paese domina il gruppo islamista al-Shabaab, esso non rispetta i diritti dei civili sui quali viene esercitata una giustizia arbitraria.
In questo contesto accade che le scuole vengano trasformate in luoghi in cui custodire le armi e che i bambini vengano reclutati e mandati a combattere, molti sono usati come “carne da cannone” per proteggere gli adulti coinvolti nella guerra, tanti altri sono costretti a compiere azioni suicide.
Esperienze di questo tipo minano irreparabilmente le coscienze di chi sopravvive, il quale verrà costretto dal destino che gli è stato imposto a fare altrettanto, nei confronti di altri minori, una volta che sarà adulto.
Si verificano inoltre rapimenti di ragazze perché diventino mogli dei combattenti o siano reclutate anche loro sulla linea del fronte. Le famiglie che si oppongono a queste violenze incorrono in atti di rivalsa da parte dei gruppi armati come la fucilazione o in altri tipi di accanimento. In questa situazione, le donne somale hanno subito per molto tempo e tuttora sono vittime di violenze sessuali e brutali lacerazioni della loro dignità.
Nella capitale e nelle zone che non sono più soggette al controllo di al-Shabaab, coloro che sono sospettati di legami con il movimento islamista rischiano l’arresto, fra loro anche i bambini. L’urgente necessità di perseguire il rispetto dei diritti umani fondamentali, soprattutto per i minori e per le donne, è stata ribadita a Londra dal Ministro degli esteri italiano.
Rinnovare il sistema giudiziario per invertire il corso delle ingiustizie che si accaniscono nei confronti di chi dovrebbe trovare nelle istituzioni protezione e garanzia di tutela della propria persona appare un obiettivo imprescindibile perché una realtà come quella della Somalia possa effettivamente cambiare.
La corruzione della politica e nei pubblici uffici raggiunge nel Paese livelli fra i più alti del mondo, come dimostra un’indagine portata avanti dall’Associazione Transparency International e diffusa nel dicembre dello scorso anno.
Al fine di contribuire alla costruzione di un ambiente più sicuro e conseguentemente al ripristino della fiducia dei cittadini nello Stato, la Gran Bretagna e l’Europa si sono impegnate con la Conferenza di Londra a investire fondi per la formazione dei giudici e degli avvocati somali e nel settore della polizia e delle forze armate somale. Anche l’Italia garantisce il suo supporto per quanto riguarda la formazione dei magistrati somali e la costruzione di un sistema di leggi che permettano il rafforzamento del sistema giudiziario in loco.
Con la fine del periodo di transizione e l’insediamento del nuovo presidente Hassan Sheikh Mohamud sembra che si avvii una fase di cambiamento per il Paese con un governo disposto a fare in modo che le forze governative rispondano delle proprie azioni anche attraverso la riforma del sistema giudiziario.
Certamente gli obiettivi della stabilizzazione delle istituzioni per la costruzione di un futuro più sicuro in Somalia non possono essere più trascurati, per quanto siano lungimiranti e per quanto sia innegabile che ci vorrà del tempo perché si realizzino e resistano a lungo. Tuttavia nel frattempo restano innumerevoli i problemi che colpiscono la popolazione, soprattutto nella parte sud del paese e da essi dipendono quotidianamente la morte o il destino di tante vite.
In fondo viene da chiedersi se di fronte a queste urgenze sia davvero giusta la piega che ha preso la conferenza di Londra, se dietro le intenzioni dei capi di governo non si celino forti interessi di ordine economico, come la garanzia della sicurezza perché non vengano ostacolati i flussi mercantili inglesi che attraversano l’Oceano Indiano o l’obiettivo delle ingenti quantità di petrolio presenti nello spazio di mare tra la Somalia e lo Yemen. Succede sempre di farsi queste domande quando si parla di Sud del Mondo, ce lo siamo chiesti anche quando c’è stata la conferenza di Londra dell’anno scorso o per quella di Istanbul, sempre sulla Somalia.
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