1944. Dopo anni di indifferenza, finalmente qualcuno comincia a muoversi per cercare di fermare il genocidio nazista. Grazie all'intervento del Ministro del Tesoro statunitense Morgenthau, viene creato il War Refugee Board (Ente per i Rifugiati di guerra) che, dopo diversi tentativi diplomatici, lancia una vasta iniziativa di salvataggio degli ebrei ancora presenti in Ungheria.
Non avendo ambasciata nel Paese (con il quale gli Stati Uniti sono formalmente in guerra), il Board si rivolge al suo rappresentante svedese, il cui Stato è neutrale, che a sua volta, con l'aiuto di altri concittadini esponenti della Comunità ebraica e civile, individuerà la persona da inviare a Budapest.
Comincia così la vicenda incredibilmente rocambolesca di Raoul Wallenberg, giovane rampollo di una famiglia di banchieri e industriali, tra le più illustri e influenti del Paese, che verrà inviato direttamente dal Ministro degli Esteri Svedese come diplomatico accreditato presso l'ambasciata in Ungheria con lo scopo di assolvere la missione umanitaria.
Domenico Vecchioni, già Console Generale a Madrid e Ambasciatore a Cuba, in “Raoul Wallenberg L'uomo che salvò 100.000 ebrei”, ripercorre con dovizia di particolari e talento letterario, i punti salienti delle gesta straordinarie di questo uomo comune, che a repentaglio della sua stessa vita, riuscì a strappare dalle grinfie naziste migliaia e migliaia di esseri umani. Il libro, nella sua seconda edizione uscita appositamente in occasione del centenario della nascita del diplomatico svedese, è arricchito da due belle prefazioni e alcuni importanti aggiornamenti su uno dei casi più misteriosi del secolo scorso.
Tra i documenti pubblicati in appendice, degni di nota sono quelli attestanti gli sforzi diplomatici fatti dalla Comunità Europea successivamente alla caduta del Muro di Berlino, nella speranza di riuscire a liberare Wallenberg o quanto meno di ottenere notizie sulla sua fine. Tentativi che purtroppo non hanno portato alla luce nessuna certezza sul periodo successivo all'arresto del diplomatico da parte dei sovietici all'indomani della liberazione-occupazione della capitale ungherese.
La lettura di questo libro, perciò, lascia un senso di amarezza e uno ancora più grande di impotenza anche a chi conosceva già la sua storia: nonostante la sua grande opera umanitaria, nei 45 anni di Guerra Fredda in pochi, troppo pochi, si sono occupati di questo caso e probabilmente troppo deboli sono state le azioni svolte. Si sarebbe potuto fare di più? Se sì, perché non è stato fatto?
E inoltre: perché in pochi, troppo pochi, hanno seguito le gesta di Wallenberg (così come quelle analoghe di altri eroi comuni, come, per esempio, dell'italiano Giorgio Perlasca)? Perché chi poteva opporsi alla violenza verso inermi e indifesi è rimasto in silenzio o ha agito con fatale debolezza? Il Male è stato sì sconfitto, ma troppi innocenti ne hanno fatto le spese.
Elena Lattes
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