Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/11/24 ore

Io, Altiero Spinelli e il federalismo europeo



 Marco Pannella conversa con Giuseppe Rippa

 

- Parliamo di te e di Altiero Spinelli. Del vostro rapporto, ma principalmente dell’ultimo Spinelli, quello deluso della scelta comunista, amareggiato poiché vede allontanarsi la prospettiva che lo aveva spinto alla sua lotta per il federalismo europeo, alle speranze riassunte nel manifesto di Ventotene e alla battaglia politico-culturale che descriveva. Tu stesso hai più volte richiamato il valore simbolico e lungimirante di due prigionieri politici, Spinelli e Ernesto Rossi, confinati in un’isola in pieno regime fascista, che riescono a intravedere una prospettiva di luce e di progetto nel cono d’ombra di una guerra devastante... Qual è la tua testimonianza per quel rapporto antico e maturato nella comune esperienza nel Parlamento europeo?

 

Hai accennato al momento di sfiducia che nasce in Spinelli nel progetto costitutivo degli Stati Uniti d’Europa, alla luce dell’esperienza che stava maturando in una istituzione che diveniva sempre più burocratica e priva di slanci ideali e politici. Devo confessare che era mia intenzione aiutarlo, essergli vicino, quasi per interesse personale perché superasse questo pessimismo. In realtà negli ultimi due o tre anni, in modo patente, avvertivo da parte sua una richiesta (e questo in particolare in quei mesi in cui sentiva che la sua salute era molto compromessa) di vicinanza.

 

Vi sono alcuni episodi, forse sottovalutati, che lo confermano. Ad esempio sulla vicenda Maastricht (dove il 7 aprile 1992 fu firmato dai dodici paesi allora membri della Comunità europea, divenuta poi Unione, il Trattato che fissava le regole politiche e i parametri economici che erano necessari per l’ingresso degli Stati aderenti alla Unione stessa ndr). Eravamo in Parlamento europeo su una posizione tattica diversa, pur se ispirati dalla medesima motivazione politico-culturale. Altiero era sostanzialmente convinto della crisi di Maastricht e del dopo Maastricht, ma non era intenzionato ad esprimere esplicitamente la sua posizione contraria nei confronti di una involuzione in corso che avvertiva nelle forze del Parlamento, anche in quelle a noi vicine. Non voleva, insomma, rivelare in atti formali un pessimismo che già avvertiva profondo.

 

Fu lì che maturò la scelta tattica che portò tutti quelli – noi – che erano su una posizione federalista, ma convinti dal processo involutivo che andava maturando sul Trattato, di restare fuori dall’aula al momento del voto mentre uno solo di noi era presente ma si asteneva. Fu un modo per confermare un percorso comune (era la prima volta in cui non avevamo votato assieme), ma contemporaneamente per lasciare, con questa mia scelta tattica così come l’avevo escogitata, quel segno di dubbio e di perplessità che era condiviso anche da lui.

 

Su Altiero si è sempre focalizzata l’attenzione sul tema del federalismo. Ma vi erano tutti gli altri temi, penso all’antiproibizionismo per fare un esempio, o anche al giudizio sulla sostanziale inadempienza dello stesso Parlamento a rispettare le sue stesse scelte (proprio il progetto Spinelli sugli Stati Uniti d’Europa, con il vero e proprio governo europeo espresso dalla commissione, con l’elezione diretta del presidente), che con comportamenti – come dicevo – non abbastanza ricordati, vedevano gruppi di conservatori britannici e di socialdemocratici tedeschi e inglesi e di altri Paesi decisamente vicini alle nostre posizioni, a quelle di Altiero.

 

Quella vittoria tattica non assume dimensione strategica perché viene a mancare la componente di matrice democratico cristiana, che pure veniva da personalità come Adenauer, De Gasperi, Schumann assolutamente convinta della traiettoria federalista e, nel gioco delle contraddizioni, la posizione di una modesta personalità tedesca come Hollenauer che si manifestava con caratteri negativi verso il federalismo. E così dopo Maastricht abbiamo nel 1997 il trattato di Amsterdam (entrato in vigore nel 1999), quello che doveva rafforzare l’unione politica dell’Europa in particolare in materia di libertà, giustizia, sicurezza, comune politica estera e che non interviene sul sistema istituzionale della Unione. Qui viene fuori lo scoramento di Spinelli, il suo pessimismo. Sarebbe necessario un approfondimento su quella delicata fase della vicenda politica europea. Ma paradossalmente proprio tutti coloro che si definiscono di anagrafe spinelliana non vogliono fare una disamina più profonda di quella stagione. Altiero si manifestava molto partecipe delle iniziative politiche radicali, penso alla battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo, quella già ricordata sull’antiproibizionismo, l’obiezione di coscienza…

 

- …Qualcuno temeva e teme una compromissione con i Radicali...

 

Altiero era molto coinvolto. Ricordo non solo la sua curiosità, ma partecipazione politica. La battaglia di Dupuis sull’obiezione di coscienza lo spinse a voler incontrare con me Olivier nell’ospedale militare e ad essere sinceramente coinvolto su queste iniziative…

 

 

C’è chi vuole rappresentare Spinelli come se fosse concentrato e avesse idee solo sull’Europa, ma come parlamentare europeo ha dovuto confrontarsi con molti altri temi. Ebbene la sintonia con noi del Partito Radicale è stata totale su quasi tutti i punti. E mano a mano che in lui cresceva il pessimismo per la prospettiva federalista europea, che avvertiva allontanarsi dalla sua visione e progettualità per il modo in cui si stava formando, si è manifestata la sua partecipazione, il suo riflesso tutto politico, con il pudore che era nella sua natura, divenuto poi anche privato e personale nei miei e nei nostri confronti, verso la nostra azione.

 

…Ricordo come, un anno prima della sua morte, in un congresso radicale mi pare a Firenze, confermando la sua lettura pessimistica sull’evoluzione federalista dell’Europa, confermasse questa sua sempre più profonda partecipazione alle nostre iniziative come le uniche in grado di dare vigore ad una speranza. D’altronde, l’essere venuto a quel congresso, l’aver preso la parola, l’aver sottolineato che l’assenza di un Movimento Federalista Europeo rendeva urgente il nostro impegno a colmare quel vuoto... Era una sollecitazione che mi manifestava anche a livello privato... Mi devi assicurare – diceva – che, anche se non ci sarò più, il tuo impegno nella battaglia federalista resti permanente e vicino alle mie progettualità...

 

- prosegui la lettura su Quaderni Radicali 110

( Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. )


Aggiungi commento