In questo fine settimana (25-26 febbraio 2017), a Bologna si tiene la cosiddetta prima Convenzione dell’associazione “La Marianna”, promossa dall’ex segretario radicale Giovanni Negri per riunire quanti – pur desiderosi di impegnarsi attivamente – stentano a riconoscersi nelle offerte presenti sul mercato politico italiano.
“La Marianna”, come si ricorderà, compie il suo primo atto di manifestazione pubblica durante la campagna per il referendum confermativo della riforma costituzionale fatta approvare in Parlamento dal ministro Elena Boschi, sostenendo i comitati per il SI.
Oggi, apprendiamo dal sito web che la convenzione in programma a Bologna sarà “il primo incontro utile a ridare una casa politica ai tanti homeless che in questi anni hanno vagato (elettoralmente e non solo) alla ricerca di quello che non c’è, passando dalla speranza vana Renzi all’urlo disperato grillin-leghista”. In poco più di sei mesi, gli orizzonti della Marianna sono perciò drasticamente mutati: se prima Renzi andava sostenuto come soggetto riformatore, oggi è derubricato a “speranza vana”. Non essersene accorti per tempo non testimonia in favore della perspicacia del suo promotore.
Il che sorprende non poco, visto che Giovanni Negri è tutt’altro che un principiante in politica. Negli anni Ottanta, all’epoca in cui Pannella pensò di “contagiare” gli altri partiti con il doppio tesseramento, a Negri toccò approdare ai socialdemocratici di Cariglia. La cosa deve aver lasciato il segno, se guardiamo alle proposte oggi avanzate nel programma della Marianna.
Fra queste ultime, denominate “frecce”, figurano l’esercito del lavoro, i patti fiscali o la costituzione di un’Agenzia dello sviluppo e della cooperazione, che già dal lessico adottato ricordano più le pietanze stantie di un socialismo che, per quanto “democratico”, è ben lontano dal rappresentare una via percorribile nei tempi odierni. Anche perché muove esattamente nella direzione opposta a quello che servirebbe: implementare la presenza di uno Stato inutilmente invasivo e inefficace non è certo auspicabile.
Altrettanto dubbio è il modo in cui alla Convenzione si annuncia di voler affrontare la questione giustizia, laddove si ammette che essa potrebbe anche essere “una sorta di Stati Generali dell’Avvocatura italiana penale, civile e amministrativa”. Immaginare di impostare la soluzione del nodo giustizia all’insegna di una lotta tra corporazioni – avvocati contro toghe – è proprio ciò che andrebbe scongiurato.
Nei tempi dello scontro tra populisti ed establishment elitari e omologati al politically correct, va sì ricercata una terza via: ma questa difficilmente può essere incarnata dalla riproposizione – a tratti strumentale – di formule che poco hanno a che fare con l’esigenza primaria di ridare spazio all’autonomia delle persone e prefigurano ancora una volta il calare di una rete avvolgente, fatta più per paralizzare che per proteggere.
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