Un dramma, la nostra incerta e sempre obliqua comunicazione. L’uso distorto della parola, la continua perdita di senso dei nostri discorsi, la devastante cerimoniosa ambiguità. Intanto, il presente è scomparso (o mai apparso) nel tempo del nostro orizzonte.
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POESÌ di Rino Mele
Il tempo riflesso in uno specchio
Due mani si toccano raggiungono
con le dita le pensate figure di un gioco, la rosa fitta di petali,
le curve onde dell'abside, lo steccato
dell'altra mano, la barca (e sono il pollice e l'indice a mostrarne
la carena e la rena).
Il gioco continua e sorprende,
le dita ruotano, i due giocatori oppongono
figure astratte difficili da comprendere, lievi come il pensiero
quando si pensa pensato, e col suo peso
il corpo è per un attimo lontano: le mani chiedono di costruire una
foresta
di mobili dita, messe a contrasto
per comunicare. Sullo sfondo della parete o del foglio
come fosse tornata dall'ombra, una donna
(che una matita s'ostina a cancellare)
ripete il nostro nome, sorride:
c’è un corridoio, o un ponte da attraversare - la linea di un filo sottile
tra le due mani - la donna
vestita di scuro col lume spento
rimane ad aspettare. Solo lei conosce l’inganno alla sua attesa,
il richiamo che continua a mandare
al nostro distratto guardare.
Nelle dita che ora s'attorcono, l'enigma riappare.
Non esiste nessuno stabile presente: solo vortici di un passato
in cui tutto continua a precipitare,
ci sperdiamo, urtando contro il muso di un cane che azzanna
orrido, a ricordarci lo scandalo
tormentoso di nascere: quando, disorientati, lenta-
mente scivolammo ignari
verso il linguaggio, ne restammo prigionieri, impediti.
Non conosciamo - se non quando diventa
pietra nel cuore di un altro - il senso
del nostro parlare: come il movimento del nostro piede,
improvvisamente
fermo, rovesciato nell’inciampare.
Così le parole, che nascondono il pensiero, l'eterna peripezia
in cui ci sperdiamo con la certezza
di nasconderci, negando il nostro nome: negava
il suo, Pietro davanti al fuoco,nella notte
in cui Cristo era percosso prima d’essere portato al Sinedrio.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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