Nel sonno la nostra vita raggiunge una spezzata compiutezza. Poi, a ogni nuova alba ci ritroviamo nel nostro disperante tentativo di tenere insieme ciò che confusamente siamo (nel sonno che si ripete) e ciò che dovremmo essere (nelle regole della veglia).
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POESÌ di Rino Mele
Il disamore del giorno
Tutto inizia quando un bambino vede un altro
più piccolo (il fratello?) al seno della madre (forse una vicina),
e lo invidia.
Adulto, sottrae a chi guarda, al di là del confine, la siepe del
campo, la casa, di cui mura le finestre per impedirgli
la vita. Il sonno lo attraversiamo leggeri, abbiamo altre
mani, piedi che non ricordiamo
di possedere, ci guida un dio, costringendoci a salire sempre più
in alto, per precipitare. Noi siamo quel sonno
e le immagini che produce: le ferite, le figure, l'ansia
di respirare, ci vediamo morti
e risorti nella bocca che ci prende, ci toglie la pelle, la sputa felice.
Poi, la veglia ci getta, all'alba, in una socialità feroce,
chi è vicino fugge da noi, ce lo ritroviamo
accanto, reciproca estenuante cattura tra estranee figure,
come un gioco
di cui riconosciamo, dopo ogni mossa, l'errore.
La legge mostra la colpa (Gide citava San Paolo), siamo la nostra
notte
e il giorno che scompare. Anche l'uomo che sarà portato al patibolo
dorme, e nessun carnefice potrà raggiungerlo tra i dirupi,
le tenebre in cui s'immemora
in questo suo diverso finire.
In Macedonia, a Palatitza, in un'antica stanza
rettangolare (quanto
importante nella nostra confusa vita la geometria) c'è un'altra
sala, rotonda, e da questo duplice spazio
scavato la fanciulla col serpente sulle ginocchia
aspetta di uscire, venirci incontro, nella gara
con la polvere
di cui il vento la ricopre. La tempesta
s'acqueta nel sonno,
riprende,
e ne raccontiamo l'asprezza, le spine
nel suo ripetuto finire. È allora che ci sembra d'incontrare
il nostro sconosciuto volto. La notte
la riconosci dal digiunare, il corpo diventa puro,
come uno strumento musicale che da se stesso suoni, da suoni
nuovi inseguito,
il viaggio che nel sonno non cessiamo di fare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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