Fu Hegel a definirlo così, e mai parola fu più precisa. Un luminoso sintagma (“l’animale malato”) nel rappresentare le contraddizioni irrisolvibili dell'uomo.
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POESÌ di Rino Mele
L'animale malato
Sabato notte in Polonia, a Katowice, siamo stati
ricacciati indietro in una grotta verticale, api
nere in una bottiglia: due stanche settimane per approvare sfuggenti
regole del clima, un intrico
di consumate parole e lacrimevole fumo
dentro cui ci ostiniamo, tra strette di mani e sorrisi,
sbagliando porta,
stanza, dove attendere
lo sconosciuto che ci salvi dalla peste, dalla nostra indifferenza,
rimasta
a squittire su un ramo, dietro la maschera della Sfinge.
Tra 196 Stati, la Cina
è apparsa la più europea e l'Europa
la più lontana. Non sappiamo
evitare l'aumento di emissione dei tossici gas serra: gli Stati Uniti
assenti, l'Europa avvelenata
che in quel veleno dorme, e la Russia si guarda intorno, cerca
orme nella neve. Lo straniero che ci salverà
non appare
dal fondo della strada vuota, nel progressivo
caldo invernale che illude, impedendo di respirare. A Katowice,
soltanto la Cina è rimasta a indicare l'agonia del clima
nella livida superbia occidentale. Intanto,
c'intestardiamo ad aspettare lo straniero che tarda ad arrivare. Viene
da Corinto, zoppica leggermente tanto che la sua ombra
pare danzare. A Tebe
sconfisse la peste, e la Sfinge, divenne re.
Si chiama Edipo, disperato di fuggire l’oracolo, il linguaggio
degli dei: vi s'avvolgeva dentro e le parole
erano sentieri
che s'allontanavano. Anche noi uccidiamo a ogni quadrivio la nostra
radice, e il corpo
che ci ha generato devastiamo. "Sei tu l'assassino che cerchi", gli dice
cieco, Tiresia. Lo straniero
non era mai uscito dalla città ma, come nei sogni,
sporco del sangue di Laio, il padre, v'era tornato. Strappandosi
dal suo nome, alla fine s’acceca,
si libera dal vedere
chi lo guarda,
le cose che continua a urtare e sembrano gridare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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