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23/11/24 ore

A vida invisivel, come ammorbare al Festival del Film di Roma


  • Florence Ursino

Dunque, non si perda (altro) tempo: l’amico-mentore muore e Hugo, impiegato statale depresso e perso in una Lisbona triste e cupa, fa i conti con la sua incapacità di vivere e con il grande amore della sua vita, Adriana. Durante i 100 minuti di ‘A vida invisivel’, la pellicola diretta dal portoghese Vitor Goncalves e presentata in concorso al Festival del Film di Roma, riecheggia, insistente e disperata, una sola domanda: perché?

 

Eppure alcune ovvietà dovrebbero essere tali sin dai tempi di Meliès, quando le teste venivano gonfiate fino a scoppiare: il cinema non è la vita. E se questa punisce, la settima arte non deve fare altrettanto.

 

E invece no, c’è ancora chi, in onore di quei voli pindarici dentro un io insaziabile di tenebra e luce (eh?!?), decide implacabilmente di ammorbare lo spettatore fino a ridurlo in uno stato di sonnambulismo coatto da cui il poveretto si risveglierà con una gran voglia di bere qualcosa di forte (ci saranno accordi tra i bar del Festival e i registi carcerieri? mi chiedo).

 

Niente, e sottolineo niente, può pretendere di sopravvivere a una critica furiosa e avvelenata, nel film di Goncalves: insopportabile il protagonista (povero Filipe Duarte) - occhi fissi e vuoti, movenze da zio Fester (senza offesa, Addams), snervante gestualità -, dialoghi inesistenti e drammaticamente sibillini, inquadrature interminabili, scenografie desolanti, una fotografia che ti fa rimpiangere il ‘Kiss me Licia’ (quello con Cristina D’Avena, sì), montaggio soporifero, linguaggio antidiluviano.

 

L’inerzia la fa da regina: Hugo è talmente un poraccio che manco ci prova ad emozionare, ma almeno fatecelo capire in fretta, perché tormentarsi/ci per quasi due ore con una lenta, lenta, lentissima discesa negli inferi di un vuoto incolmabile?

 

Un ritmo narcotico non è più introspettivo, signor Goncalves, la mancanza di linearità non è sempre sintomo di una personalità complessa, ma molte volte è figlia di mamma Noia e papà Vuoto: sì, si può capire l’impulso chiaramente autobiografico, ma perché dimenticarsi di noi? Ha mai davvero pensato di raccontarci qualcosa?

 

Non per infierire ulteriormente, ma ‘A vida invisivel’ è un’opera completamente sbagliata, velleitaria, superflua, inutile, invisibile come il suo titolo, totalmente priva di empatia. E qui mi fermo con imbarazzo, come l’immagine della scena finale.

 

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