Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Festival Film Roma, la sfiancante pellicola di Tayfun Pirselimoglu


  • Florence Ursino

Nihat lavora in una mensa, sbucciando patate e pulendo piatti e pavimenti, le labbra che non sorridono mai nascoste sotto baffi ispidi, grigi. Nihat non parla mai, fuma troppe sigarette e cucina le uova su un fornellino improvvisato della sua piccola e spoglia casa, la tv a fargli compagnia. Ayse è una giovane donna dagli occhi grandi e dai capelli neri, un marito in carcere e le pupille piene di parole che cercano Nihat mentre insieme, muti, lavano stoviglie e pentoloni. Poi c’è un invito a cena, una timida quotidianità, il desiderio di una vita che non è la loro.

 

Prima mondiale al Festival Internazionale del Film di Roma, ‘Ben o Degilim – I’m not him, del regista e pittore Tayfun Pirselimoglu, decide di affrontare così il delicato – troppo delicato – tema dell’identità, portando sul grande schermo una alienante relazione tra due esseri persi nell’invisibile.

 

Non è dato sapere niente, dei due personaggi: non ci sono desideri, non c’è curiosità – se non quella, forse, di un banale scambio di solitudini – non c’è morbosità, non c’è causa né effetto per un’azione lunga 123 minuti, sfiancante e quasi priva di parole, suoni, musica.

 

Pirselimoglu sembra divertirsi aggiungendo al suo piatto tableaux vivant pennellate di assurdità e tediosa illogicità, finendo con l’intrappolare lo spettatore in una storia grottesca, superficiale, punitiva.

 

La volontà di giocare con la polifonica questione della doppia identità, degli scambi di persona (e di vita), finisce con lo spingere il regista turco nel vortice nebuloso di una ripetitività sfiancante, surreale come il cinguettio di un campanello e insensata come le scelte del suo protagonista.

 

Una provocazione? Forse. Ma l’impressione che si ha alla fine del film è che questo sia stato costruito sul nulla, su una domanda – e se fossi stato lui? – a cui pare mancare il punto interrogativo, trasformando l’intera pellicola in una asserzione priva di una valida, costruttiva, affascinante, premessa.

 

- Marc'Aurelio d'Oro all'ibrido Tir di F.U. 

- Take Five, 'spaghetti gangester' al Festival di F.U. 

- Quod erat demonstrandum, l'eterna lotta fra l'uomo e il sistema di F.U.  

- Out of furnace, senz'anima fuori concorso di F.U. 

- Acrid, le prigioni mentali di affetti instabili di F.U. 

- Lo scheletro lucente de "I corpi estranei" di F.U.

- Her, l'amore visionario di Spike Jonze di F.U. 

- La fredda vita di ‘Sorrow and Joy’ di F.U. 

- A vida invisivel, come ammorbare al Festival del Film di Roma di F.U. 

Entre nos, la ricerca del tempo perduto di F.U.

- Dallas Buyers Club, un inno alla dignità di F.U.

- Manto Acuifero, messi a disagio di F.U.


Aggiungi commento