Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

La fredda vita di 'Sorrow and Joy' al Festival del Film di Roma


  • Florence Ursino

Un altro buon film in nuce, un’altra piccola delusione infine. Presentato come un thriller drammatico in concorso al Festival del Film di Roma, ‘Sorrow and Joy’, del danese Nils Malmros, parte in quarta mettendo bruscamente lo spettatore davanti ad una tragedia: Johannes, regista di successo, torna a casa da una conferenza e trova la figlioletta di 9 mesi sgozzata da sua moglie Signe.

 

Mosso da sincera curiosità, il pubblico inizia ad ascoltare e guardare il protagonista ripercorrere - grazie all’espediente di una seduta psicanalitica dal medico che deciderà le sorti della madre assassina – la sua storia d’amore fino al nefasto evento.

 

Una sorta di indagine introspettiva e rivelatrice che si snoda lungo tutto l’arco temporale del film e che, man mano che la storia va avanti, perde mordente e abbandona il solido appiglio alla realtà, precipitando lentamente nella palude della ripetitività e dell’illogicità.

 

Tralasciando alcuni sviluppi della storia un po’ discutibili – nonostante bisognerebbe sempre tenere presente la matrice nordica del film e, di conseguenza, la sbandierata forma mentis estremamente (e realmente?) liberale di tale realtà – la pellicola risulta qua e là invasa da una sorta di buonismo purificatore che, se all’inizio lascia lo spettatore un po’ basito, a lungo andare risulta troppo avulso dalla realtà nell’enfatizzazione di quel senso di giustizia, di comprensione e di perdono personale e sociale che, forse, chi non abita i Paesi del Nord Europa, non è propenso a capire o giustificare.

 

La curiosità iniziale, dunque, si trasforma in incomprensione e, infine, in rigetto per una situazione – la depressione della protagonista - che viene spiegata fino allo stremo anche quando non ce ne sarebbe più bisogno.

 

Quel dolore che, infine, diviene felicità, secondo quanto suggerito dal titolo del film, non riesce ad arrivare alla pancia dello spettatore che, smarrito nell’asetticità delle ambientazioni e nella freddezza delle location sublimate dalla fotografia, rimane impassibile ed estraneo come Johannes (un convincente Jakob Cedergren) davanti alla sofferente instabilità di Signe (un’ intensa Helle Fagralid).

 

Se la vita è ‘Sorrow and Joy’, questo è quello che Malmros avrebbe dovuto far vedere, o quantomeno suggerire. Quel che resta, invece, alla fine del film, è solo un pendolo che oscilla tra l’incapacità e la volontà di sentire qualcosa.

 

- Marc'Aurelio d'Oro all'ibrido Tir di F.U. 

- Take Five, 'spaghetti gangester' al Festival di F.U. 

- Quod erat demonstrandum, l'eterna lotta fra l'uomo e il sistema di F.U.  

- Out of furnace, senz'anima fuori concorso di F.U. 

- Acrid, le prigioni mentali di affetti instabili di F.U. 

- Lo scheletro lucente de "I corpi estranei" di F.U 

- Her, l'amore visionario di Spike Jonze di F.U.

- A vida invisivel, come ammorbare al Festival del Film di Roma di F.U.

- Entre nos di F.U.

- Manto Acuifero, messi a disagio di F.U.

- Dallas Buyers Club, un inno alla dignità di F.U.

- Ben o Degilim – I’m not him, la sfiancante pellicola di Tayfun Pirselimoglu di F.U.


Aggiungi commento