Il delirante aspetto del tempo, sempre già vissuto, lo sguardo rivolto indietro, prigionieri di un presente irraggiungibile, impedito dalla coscienza. Come quando assistiamo alla proiezione di un film, e sappiamo di vedere quello che la macchina da presa ha già visto prima di noi, e stabilito per il nostro sguardo.
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POESÌ di Rino Mele
Geometria del piacere
Guardiamo timorosi che il vicino non superi la linea segnata sul foglio
catastale,
e s'appropri dell'ombra
dell'albero di confine. Dentro il quadrato, una diagonale
crea i triangoli, e nessuno può vigilare la progressiva spossessione
della propria figura. Abbiamo una dimenticata paura
che qualcuno sottragga la nostra integrità: la tratteniamo con una
tessera, un lasciapassare
che non è il nostro, il nemico
si nasconde nello specchio, ne esce, mi viene incontro quando mi
guardo, e in quella figura
continua a uccidermi, e la sua mano meccanica colpisce
e non so evitare. La stanza è bianca,
su una sedia di paglia una donna piange, s'addormenta
nel pianto.
Quattro sentieri formano il quadrato, lungo quei solchi
il predatore si muove inseguito (gli animali di specie dissimili quasi
non si accorgono gli uni degli altri), finalmente esco
dal bosco, mi viene incontro la bocca grande della pianura, in un angolo
c'è una festa, uccidono
un bambino, ne fanno un piccolo dio, aspettano che cresca, morto, fino
a mangiarselo dopo averlo messo su una croce.
Un estenuato combattere con corte spade e ferirsi. La nostra vita
è premuta da fantasmi, ne usciamo ritrovandoci
tra gli stessi
volti, le voci mute dei morti,
le ferite che abbiamo inferto le ritroviamo sul nostro corpo, mentre
mani bianche frugano in esse, compiaciute
di farci male. Come le piccole ruote degli antichi orologi da polso, il
senso di colpa continua a girare
frenetico, a disturbare il nostro sonno col suo flebile rumore.
Solo dove s'inciampa
è la giusta via, quel sordo cadere, la spezzata armonia che solo un
attimo ti concede il dolore, e sottrae.
Liberarsi dalla ripetizione di un passato
che insiste nel tornare, il vortice
si ripete, gira intorno alle storie e sembra il lavoro del sogno,
quello scivolare e avanzare, il piede che s'arresta
e si pone davanti all'altro per camminare. Oltre il ponte, e prima di
esso, il fiume si solleva e inonda, cancellando le rive.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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