32 a bordo della Sea Watch, e 17 sulla Sea Eye, da diciotto giorni al largo di Malta, su un mare che non dà tregua. E l’inumana protervia della politica, la nostra, e quella europea, incapaci d’interpretare la tragedia, di trasformarla in un forte disegno chiaro.
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POESÌ di Rino Mele
Sea Watch
Sul mare, i nuovi schiavi
di questo tempo che non conosce futuro
hanno la sensazione che la nave si muova all'indietro, testarda nel
precipitare.
Di fronte a Malta, è ferma, qualcuno di loro
ha capito e si rifiuta di mangiare, s'è murato la bocca (parlare serve
a chi comanda). Hanno attraversato
deserti
e boscaglie questi gentili migranti nell'illusiva
allucinazione d’incontrarci,
raggiungere un luogo nuovo dove non ci siano coltelli da conficcare,
occhi da ferire, mani tagliate
che non riesci a contare. La nave aspetta: tra furiose
contraddizioni cristianamente
respingono la richiesta d’attraccare, entrare in un porto e alleviare
quei rannicchiati corpi dall’instabile
devastazione
cui, da troppi giorni, li stringe l’onda, e sottrae.
I grandi Stati - intorno - non hanno sguardi per vedere il pianto.
Sistemi chiusi che non prevedono l’attesa, la porta
che s’apra al contrario, lo scrivere piano
nella cenere notturna,
il delirio che solo all’alba scompare.
Non sappiamo dei migranti i musicali nomi, hanno fatto un viaggio
tra altri corpi progressivamente
morti, per trovarsi nelle prigioni libiche, violati
tra le rise oscene dei guardiani.
Questa stupefazione ferma in mezzo al Mediterraneo è una fine
che non sa terminare,
luogo della pena - ma anche d’osservazione. Così, sul grande mare
della nostra storia, in una stanza rettangolare,
senza spazio per l’ombra, sono l’uno accanto all’altro, e noi intorno,
contenti di noi stessi, a spiare.
Troppo facilmente gli uomini occupano i luoghi che una
natura mal consigliata
suggerisce, predare o lasciarsi straziare, sentirsi dalla gola
il respiro fuggire (nel medioevo morire
era anche transitivo, poteva significare uccidere). Intanto
sorridono tra loro
i piccoli re della Terra, si passano gli ordini finali dell'esecuzione.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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