C'era una volta chi ce l'aveva duro e c'è oggi chi, a quanto pare, potrebbe non avercelo proprio. Secondo la nuova teoria psicopolitica esposta nei giorni dello sbarco in Sicilia dal one man show della politica (o dell'antipolitica, o della fantapolitica o della comicpolitica, fate voi insomma), Beppe Grillo, Matteo Renzi soffrirebbe infatti di “invidia penis”.
Per carità, non chiamatela rottamazione. Si tratta piuttosto di rinnovamento; e a quello bisogna lavorare tutti assieme. Così Pierlugi Bersani cerca di mettere un argine al fiume di polemiche intorno alla ricandidabilità o meno alle prossime elezioni di Massimo D’Alema.
Tutto si può dire di Walter Veltroni, tranne che non sappia uscire di scena, nei modi ma soprattutto nei tempi. La sua vita pubblica di politico è infatti costellata di passi indietro al momento giusto. Fin da quando lasciò, non proprio in buone acque, la direzione dell’Unità per lanciarsi nell’avventura prodiana dell’Ulivo.
Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Riccardo Nencini hanno presentato ieri la loro “Carta d’intenti”, con i 10 punti programmatici dell’alleanza per il governo. Ad alimentare le polemiche è stato il mancato riferimento al governo Monti – o perlomeno alla sua “agenda” – nel manifesto, unito all’apertura sui matrimoni gay e al nuovo attacco di Vendola contro i nemici mortali incarnati dal “populismo e dal liberismo” (anche se la più evidente espressione di populismo sembra proprio essere questa offensiva indiscriminata contro il demone del liberismo, in toto).
Alla fine, le linee guida per le Primarie decise all’ultima Assemblea nazionale del Pd sono diventate legge valida per tutto il centrosinistra; o meglio, il centrosinistra formato con gli alleati che si è scelto il partito di Bersani, vale a dire: Sel di Vendola e il ramo socialista (fra i tanti della diaspora post Craxi) che fa capo a Nencini. Il terzetto di segretari ha così firmato la Carta d’intenti e il regolamento in dieci punti.
Con il coinvolgimento del proprio segretario regionale, anche l’Idv di Di Pietro è finito nell’occhio del ciclone per quella che sarebbe da definire “la razzia istituzionalizzata” attuata nel consiglio della Regione Lazio. A conferma che la battaglia giustizialista e moralista deve fare i conti con la realtà interna del partito, fatta anch’essa, checché se ne dica, di scandali e interventi della magistratura.
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