L'Espresso del 29 gennaio è dedicato all'isola di Samos alle "migliaia di bambini, donne e anziani rinchiusi dietro il filo spinato, prigionieri degli accordi tra UE e Turchia". 117 morti il 18 gennaio, potevano essere salvati ma il protervo gioco dei rimandi, come a sottrarsi, e passare all'altro la responsabilità, ha voluto la catastrofe, la Guardia Costiera, il coordinamento di Tripoli, la sordità della Libia, le Ong rese prudenti, l'Europa ingessata a guardare la corrida finita: il toro, il torero, i cavalli dei picadores stanchi, si muovono in pozze di sangue mai asciugate. In una memorabile pagina, Camus scrisse che se di notte, dall'alto delle nostre finestre, udiamo un lacerante grido e non ci affrettiamo a portare aiuto a chi implora, siamo responsabili di quel dolore come la violenza di chi l'ha causato, e continua a infierire.
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POESÌ di Rino Mele
Far morire l’inatteso ospite
Il sacerdote del mistico naufragio, e universale, con la sua viminale
innocenza
ci sta facendo scoprire di essere i colpevoli, per assistere
inermi. Chi non ha visto picchiare un bambino?
Non potendo farci carico di tutto quel dolore, cerchiamo di non sapere
e di figurarci tanto lontani da non udire l'urlo
del torturato, il lamento
di chi non ha le parole per dire lo strazio.
Dopo aver portato per secoli, in Africa, il suo imperiale dominio, l’Europa
si meraviglia ora
a veder tornare quelli che ha trasformati in poveri (parlano
inglese), venire da noi per
diversamente continuare quel rapporto coloniale.
Così, nel sillogismo più feroce (ce l'ha insegnato il teatro, il coro che
entra nella scena, come le dita
nella ferita) se il Governo
è innocente dobbiamo assumere su di noi la colpa di aver guardato
lo scempio e non aver urlato
per quel dolore (il delitto
e la viltà nell’osservare sono condannati da un'unica
morale): ci si trova - da lontano - vicini a chi muore, responsabili
di non saper fermare
la mano che s'alza, la pietra che già in alto vola.
Il ministro scende in apnea, in piedi, tra gli spruzzi delle onde, vestito da
generale sembra una figurina di Enrico Baj, surreale.
La realtà è un orrendo fumetto
in cui un barcone, una nave, un cargo sono disegnati in mezzo al mare,
i migranti a volte stanno fermi in un porto come a Catania,
e non possono sbarcare,
177 a fine agosto aspettano (il giudice dice "sotto sequestro").
E i 117 morti del 18 gennaio?
I numeri si confondono, le date, l'orrendo fumetto ha sempre lo stesso
mare con le onde seghettate,
le braccia scure alzate a gridare aiuto. Ma la rappresentazione del
naufragio è solo il momento finale dopo mesi
di pena (schiavitù, tortura,
detenzione, il corpo violato, consumato dall'attesa).
Nel fumetto i riquadri sembrano uguali, le onde alte che divorano
un bambino, la madre
non riesce a gridare, alcuni giovani morti sbattono contro una trave.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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