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21/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Far morire l’inatteso ospite



L'Espresso del 29 gennaio è dedicato all'isola di Samos alle "migliaia di bambini, donne e anziani rinchiusi dietro il filo spinato, prigionieri degli accordi tra UE e Turchia". 117 morti il 18 gennaio, potevano essere salvati ma il protervo gioco dei rimandi, come a sottrarsi, e passare all'altro la responsabilità, ha voluto la catastrofe, la Guardia Costiera, il coordinamento di Tripoli, la sordità della Libia, le Ong rese prudenti, l'Europa ingessata a guardare la corrida finita: il toro, il torero, i cavalli dei picadores stanchi, si muovono in pozze di sangue mai asciugate. In una memorabile pagina, Camus scrisse che se di notte, dall'alto delle nostre finestre, udiamo un lacerante grido e non ci affrettiamo a portare aiuto a chi implora, siamo responsabili di quel dolore come la violenza di chi l'ha causato, e continua a infierire.

 

 

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                        POESÌ di Rino Mele

 

Far morire l’inatteso ospite

 

Il sacerdote del mistico naufragio, e universale, con la sua viminale

innocenza

ci sta facendo scoprire di essere i colpevoli, per assistere

inermi. Chi non ha visto picchiare un bambino?

Non potendo farci carico di tutto quel dolore, cerchiamo di non sapere

e di figurarci tanto lontani da non udire l'urlo

del torturato, il lamento

di chi non ha le parole per dire lo strazio.

Dopo aver portato per secoli, in Africa, il suo imperiale dominio, l’Europa

si meraviglia ora

a veder tornare quelli che ha trasformati in poveri (parlano

inglese), venire da noi per

diversamente continuare quel rapporto coloniale.

Così, nel sillogismo più feroce (ce l'ha insegnato il teatro, il coro che

entra nella scena, come le dita

nella ferita) se il Governo

è innocente dobbiamo assumere su di noi la colpa di aver guardato

lo scempio e non aver urlato

per quel dolore (il delitto

e la viltà nell’osservare sono condannati da un'unica

morale): ci si trova - da lontano - vicini a chi muore, responsabili

di non saper fermare

la mano che s'alza, la pietra che già in alto vola.

Il ministro scende in apnea, in piedi, tra gli spruzzi delle onde, vestito da

generale sembra una figurina di Enrico Baj, surreale.

La realtà è un orrendo fumetto

in cui un barcone, una nave, un cargo sono disegnati in mezzo al mare,

i migranti a volte stanno fermi in un porto come a Catania,

e non possono sbarcare,

177 a fine agosto aspettano (il giudice dice "sotto sequestro").

E i 117 morti del 18 gennaio?

I numeri si confondono, le date, l'orrendo fumetto ha sempre lo stesso

mare con le onde seghettate,

le braccia scure alzate a gridare aiuto. Ma la rappresentazione del

naufragio è solo il momento finale dopo mesi

di pena (schiavitù, tortura,

detenzione, il corpo violato, consumato dall'attesa).

Nel fumetto i riquadri sembrano uguali, le onde alte che divorano

un bambino, la madre

non riesce a gridare, alcuni giovani morti sbattono contro una trave.


 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

 

 

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