In Libia i migranti diventano, “definitivamente merce", ha affermato l'OIM di Ginevra, Organizzazione Internazionale Migrazioni. Nel 2017 settemila erano ospitati nei capannoni dei Centri di Detenzione libici Libia, nel 2018 sono raddoppiati.
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POESÌ di Rino Mele
Lady Sham
Lo ha scritto Lucrezio duemila anni fa,
e pare parli dei migranti oppressi da una nera sciagura, e noi
li guardiamo
annaspare, e godiamo di non soffrire
quel dolore, e i venti
s'alzano spaventosi, turbantibus ventis.
Tenersi alla riva, salvi, è dolce (suave est, dice Lucrezio) ma la colpa
oscena chi mai
ce la toglierà dalle dita, le unghie che si staccano, le spine.
È un orrendo spettacolo, un torneo
che stiamo tutti a guardare, arrivano inaspettati (e chi li ha portati sotto i
nostri occhi,
scompare). Li vediamo naufragare, morire, quelli che scampano li
rinchiudiamo tra muri d’aria
ad aspettare.
Una tragedia non si può sciogliere
delegandone la soluzione: non puoi uscire dalla scena, anche se
sei solo spettatore, né dalla visione di un incubo
senza svegliarti. Dal Niger, dal Ghana, dal Gambia presi come uccelli
nelle reti, resi schiavi (per le donne
s'apre immediato un mercato di schiavitù sessuale), venduti,
costretti a versare altro denaro per il viaggio infernale,
picchiati, torturati, uccisi.
Sabha è uno dei luoghi dove avviene la contrattazione. Un cammino
terrificante fino ad arrivare nei
Centri di Detenzione
in Libia dove diventano “definitivamente merce",
viene data lorouna stuoia, defecano nei secchi, urinano
in bottiglie (anche 200 in una sola stanza).
Violati, torturati, se muoiono
li ritrovi nella spazzatura o sui greti dei fiumi.
Dai Centri di Detenzione libici (vi si entra senza nessuna
incriminazione) difficilmente esci.
Ma non diverso carcere diventa il mare. Domenica, l’Italia
ha preteso dai libici di Misurata
di cancellare quel disordine che i naufraghi esprimevano, a 60 miglia
dalla loro costa, provocando sensi di colpa,
e un cargo Lady Sham
è arrivato e ha distrutto di nuovo la loro vita riportandoli nell’orrore, indietro, in un non consumato dolore.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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