Più che “uno vale uno”, è “l'uno vale l'altro”. L'importante che al centro ci sia il programma come da “contratto”. In quest'ottica, Giuseppe Conte, illustre sconosciuto della politica, pare sulle prime rispecchiare l'identikit del premier che viene incontro alle esigenze contrastanti di Di Maio e Salvini.
Diciamolo pure, hanno stancato. Non se ne può più, dopo 70 giorni in cui i protagonisti del “cambiamento” non hanno fatto altro che confermare la loro propensione innata a raccontarci balle. di Antonio Marulo
A volte bastano le parole giuste per ridare speranza a chi l'ha persa. Il presidente della Regione Liguria, Toti, da parte sua, ne ha trovate due, “astensione benevola”, per definire l'atteggiamento che Forza Italia potrebbe assumere nei confronti di un governo Lega-M5S.
A caldo hanno fatto un po' i gradassi, spingendo per nuove elezioni subito. Passata la nottata, si è insinuato in loro il fondato dubbio che il voto a metà luglio possa essere davvero una passeggiata trionfale, viste le incognite sull'affluenza alle urne in piena stagione balneare.
Ce l'hanno messa tutta, loro. C'hanno provato, dicono. Ma non c'è stato nulla da fare, lamentano. Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono quindi trovati concordi sullo sbocco finale: campagna elettorale.
C'era d'aspettarselo. Dopo 60 giorni di nulla, perse le speranze di sedere da protagonisti a Palazzo Chigi, nello spazio di poche ore, il M5S si riposiziona in modalità vaffa.
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