La questione della Turchia assume ogni giorno di più contorni inquietanti. Dire che gli spazi di libertà sotto l’azione del “sultano” Erdoğan si restringono significa usare un eufemismo. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a veri e propri rastrellamenti di centinaia di migliaia di persone, di arresti di giornalisti, di magistrati, di accademici, di poliziotti, di membri dell’esercito, di studenti, di sindacalisti, di intellettuali, di donne e di uomini che rappresentavano in molti casi la Turchia moderna che Mustafa Kemal Atatürk aveva disegnato e voluto, laica e con libertà religiosa.
Per ora, in attesa del ballottaggio, c’è già un risultato inconfutabile: la sconfitta dei cosiddetti partiti tradizionali della Quinta repubblica francese, puniti dall’elettorato che ha scelto Emmanuel Macron e Marine Le Pen per la corsa finale all’Eliseo.
Era già opinione diffusa che col referendum sulla discussa riforma costituzionale Erdogan avrebbe completato la svolta autoritaria, già nei fatti a buon punto. Ha vinto il Sì, ma con un distacco esiguo: 51,4% contro 48,6%, pari a 1 milione e 300mila voti, secondo i dati non ufficiali dell’agenzia di stampa statale Anadolu.
La notizia può apparire paradossale. Così come ci informa "The Post Internazionale" il parlamento russo ha approvato un disegno di legge che renderebbe i reati legati alla violenza domestica amministrativi e non penali. Insomma si potranno picchiare moglie, figli e pagare una semplice multa. È vero, siamo solo alla prima lettura, ma le motivazioni, secondo la parlamentare Yelena Mizulina, è quello di degradare appunto da penali ad amministrativi i reati riguardanti abusi domestici che provochino lesioni considerate meno gravi (ovvero che non necessitino cure ospedaliere o congedi dal lavoro), sia da parte di genitori nei confronti dei figli, che tra coniugi. Perché? Perché farebbero parte della cultura del Paese.
È iniziato cinque giorni fa e per il momento sembra che le fiamme siano state dominate. Tuttavia non si sa ancora come e dove andrà a finire. C’è chi parla di “eshtifada” (in ebraico esh vuol dire fuoco) o “intifesh” (giocando sulle parole intifada, esh e tipesh, stupido in ebraico) e c’è chi ancora non si sbilancia e avanza tante altre ipotesi. I fatti comunque sono questi: 630 incendi scoppiati un po’ ovunque in tutto il nord e al centro, nelle zone intorno a Gerusalemme (dove risiede gran parte della popolazione israeliana). di Elena Lattes
L’America ha scelto Donald Trump presidente, rifiutando il cosiddetto meno peggio, incarnato per l'occasione da Hillary Clinton.
L'Unesco approva una nuova risoluzione su Gerusalemme: il documento, che nega ancora il legame tra gli ebrei e i luoghi sacri della città, è passato con dieci voti a favore, due contrari e otto astenuti e ha provocato l'immediata risposta del premier israeliano Benjamin Netayahu, pronto a richiamare l'ambasciatore. Tra le reazioni indignate, spicca quella del presidente della Knesset Yuli Edelstein, il quale ha chiesto l'intervento della Santa Sede in una lettera al Segretario di Stato vaticano, sottolineando che il testo è "un affronto per i cristiani e per gli ebrei" ed il Vaticano dovrebbe "usare i suoi migliori uffici per impedire il ripetersi di sviluppi di questo tipo". di Camillo Maffia
Sta facendo discutere non poco la risoluzione dell'Unesco che nega le radici ebraiche di siti come il Monte del Tempio: Il Foglio parla di “Shoah culturale” e promette di andare in piazza, il 19 ottobre alle 15. La risoluzione ritiene infatti che tali luoghi siano sacri soltanto per la religione musulmana, approvando l'uso del solo nome arabo: una “decisione assurda”, secondo Benjamin Netanyahu. “Dire che Israele non ha legami con il Monte del Tempio è come dire che la Cina non ha legami con la Grande Muraglia o che l'Egitto non ha nessun legame con le Piramidi: l'Unesco ha perso quel poco di legittimità che ancora aveva”, ha commentato il premier israeliano. di Camillo Maffia
Golpe sì, golpe no, presunto o fasullo: comunque sia andata, il vero colpo a quel che restava dello stato democratico turco è in corso in queste ore con il repulisti messo in atto da Erdogan attraverso metodi di giustizia sommaria che lasciano di stucco. di Antonio Marulo
Libia, che fare? La slogan anni ottanta sulla piaga sociale della droga mutuato per l’occasione è, se necessario, esercizio retorico più che mai sterile, vista l’inestricabilità della matassa che ci regale l’ex colonia italiana. L'Istituto Affari Internazionali ha provato a farne il punto per tracciare una mappa della crisi in vista di possibili soluzioni, in un convegno alla residenza di Ripetta a Roma che ha avuto come ospite il ministro degli Esteri Gentiloni. di Antonio Marulo
Sulle tensioni presenti nelle aree calde del mondo – dal confine euro-asiatico al Medioriente – e sui mutamenti intervenuti dopo il venir meno dell’illusione degli anni ‘90 che fece credere di poter fare a meno dei rapporti di forza, si sofferma Stefano Silvestri, del Consiglio direttivo dell’Istituto Affari Internazionali, in questa conversazione pubblicata su Quaderni Radicali 111. Pur risalendo ad alcuni mesi fa, l’intervista è densa di riferimenti e considerazioni che mantengono intatta la propria validità, anche in riferimento alla politica estera del governo Renzi, fornendo una chiave di lettura delle attuali vicende internazionali come pure delle ragioni che hanno provocato molte delle situazioni di crisi.
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