Natale è diventato il contrario di se stesso, si fa festa, si grida, un teatro continuo ed osceno per dimenticare. Dovremmo aprire il silenzio ed entrarci. (… Segue>>>)
Cominciò a scrivere quell'opera inesauribile che è lo "Zibaldone di pensieri" nel 1817, a diciannove anni, e continuò a costruire questo ziggurat del suo sapere fino al 1832. Nelle prime pagine (è il frammento 85) Leopardi scrive un pensiero che non dà scampo, sembra la terrificante luce di una notte luminosa: "Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla". Al verso 12 del mio testo di poesia, ho preso "anzi il natale" - cioè "prima di nascere" - dalla terza strofa di "Ultimo canto di Saffo" che Leopardi scrisse nel maggio 1822, a Recanati.
Questi trentadue versi (col titolo Aspettano la mia voce) li ho scritti nell’ottobre del 1997 e pubblicati nel mio Il sonno e le vigilie, edizioni Sottotraccia, 2000. Li scrissi pensando ai morti che ho amato e non ritrovo, nemmeno nelle strade del mio paese, e inseguo, spinti da un vento freddo. Versi che leggo oggi che non c’è più alcuna illusoria pace e tutto si è amaramente capovolto e stravolto.
C’è solo un teatro, il luogo di estrema contraddizione di Na Dubrovka - la tragedia che si consumò tra ceceni e russi il 26 ottobre 2002, tre giorni dopo il suo inizio - nel quale si può gridare piano la poesia: dove, tra finzione e pretese del reale, si aprirono cunicoli strettissimi improvvisamente chiusi da una crudele calce inaspettata.
Lì siamo tutti, proprio tutti - tra sala e scena - intorno alla nostra agonia. (… SEGUE>>>)
Nella strage di Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, il 12 agosto 1944 furono trucidati 560 corpi viventi, uccisi come ombre concrete, in uno sconcio vento: tra essi 130 bambini. Quasi due mesi dopo, nelle valli di Monte Sole, tre paesi furono dilaniati dalle zanne dell'eccidio, Marzabotto, Grizzana Morandi, Monzuno, sull'Appennino emiliano, 775 vittime, quasi la morte avesse invaso anche il respiro in quella fine dell'estate. Un efferato diluvio: iniziò il 29 settembre e sembrò terminare il 6 ottobre quell'inarrestabile sangue. Gli ultimi otto versi dei 44 di questo mio testo di poesia, scritto oggi, li ho pubblicati due giorni fa, il 4 ottobre, su "Cronaca", il titolo è "Marzabotto".(… SEGUE>>>)
È come tuffarsi in un lago di notte e non vedere più la riva, per tornare. Queste elezioni, qualunque sia il risultato stasera, sono state confusissime, e sregolate. La consapevolezza di dovere, ancora una volta, votare con una legge elettorale irragionevole e iniqua (il Rosatellum, Legge 3 novembre 2017, n. 165) ha creato in noi cittadini una diffusa condizione di estraneità e sconforto. (… SEGUE>>>)
Che il poeta sia un Adamo e metta i nomi - mai uditi - alle cose lo dice Giovanni Pascoli nel XIV capitolo di "Il fanciullino", 1903. Rifacendosi alla Genesi, "Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animalia et universa volatiliia caeli et omnes bestias terrae". Così, il poeta inizia ogni volta il mondo, e non riesce ad andare oltre quell'inizio, in un eterno disperato ricominciare. La critica s'è lasciata catturare dall'enigmatica costruzione simbolica: "l'ipotesi più ricorrente associa l'uovo all'incarnazione di Cristo". Ho citato anche, di Giovanni Pascoli, "Pensieri e cose varie" a cura di Renato Aymone e Aida Apostolico, Edisud e Forum Italicum Publishing 2011. (… SEGUE>>>)
Difficile individuare le sorgive della poesia, la purezza di quel silenzio, una ricerca nel buio di ciò che precede il linguaggio. Ha scritto Heidegger ("In cammino verso il Linguaggio", 1958): "Il poeta esperisce la sua vocazione di poeta come una chiamata alla parola quale fonte dell'essere". (… SEGUE>>>)
Questi versi, che ho appena scritto, vogliono essere un affronto al perbenismo, la prudente paurosa distanza nei riguardi di chi soffre, la superciliosa superbia accademica, la sapienza sciatta di molti, il loro consueto chiudere in veloci formule il dolore per esorcizzarne la paura. "Cerbero, fiera crudele" è dal VI dell'Inferno. (Segue >>>)
Il delirio della guerra (delle guerre) distrugge la ragione. Prevale l'anamorfosi, la deformazione della parola, delle figure, non più riconoscibili. Il dolore progressivamente non ha più suono e disturba sempre meno chi ne è lontano. Sembra quasi che la guerra lentamente si cancelli da sé, e scompaia dal suo tragico orizzonte.
Intanto, in un'intervista riportata dalla Tass, il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev ha appena detto: "Qualsiasi tentativo d'invadere la Crimea equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro la Russia. Se uno stato membro della Nato facesse una tale mossa, porterebbe a un conflitto contro l'intera Alleanza dell'Atlantico del Nord: alla Terza guerra mondiale". (… Segue >>>)
"Làvere salsis vultum lacrumis" è un frammento dalla "Medea" di Lucio Accio. Nato a Pesaro nel 170 avanti Cristo, fu poeta tragico, ma di lui abbiamo solo avari versi, strazi di parole. Oggi, 21 maggio 2022, ho scritto "Il volto nelle lacrime": ripensavo proprio questo frammento di Accio, un'orma sulla rena prima del frangersi dell'onda. (… SEGUE>>>)
Medea,
Oscene ossessioni sono le guerre, e di quello straziato delirio l'umanità è prigioniera. L'ultimatum di George W. Bush a Saddam Hussein porta la data del 19 marzo 2003. A fine marzo 2003 fu pubblicato il mio libro di poesia "I dolorosi discorsi", edizioni Sottotraccia. La prima parte del libro è dedicata all'incendio appena sorto. Tra i primi testi, uno porta nel titolo quella data, "19 marzo 2003", ne leggo qualche verso: "Baghdad è nell'immagine / di New York, gli aerei / entrano nelle case, spezzano le sue torri, / i muri hanno palpiti / d'infiniti sismi, conoscono la morte, le contorte / funi ritorte nella nuova tortura". In quel libro c'è anche "Questo maggio pietoso", è del maggio 2002: meno di un anno dopo il mondo arderà per la guerra in Iraq. (… SEGUE >>>)