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21/11/24 ore

Poesì

POESÌ di Rino Mele. Il futuro in cui siamo

C’è uno sdoppiamento che c’insegue. Quello che saremo pare appartenga già al nostro passato. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Il mondo è una multisala

Le montagne dei Curdi assediati dai Turchi e dalla nostra stupida viltà, il sangue che scorre sulle strade e sembra del colore dell'asfalto. Lo Yemen, la Libia, la Somalia, la Nigeria, l’Afghanistan,  non ci sono crocevia senza guerra, dove se cambi strada sei nemico alla tua ombra, che ti uccide. (i primi dieci versi li ho appena scritti, gli ultimi trentadue li ho tratti dal mio La dolce apocalisse: i 295 versi - che è il numero dei Sepolcri - di questo breve poema furono pubblicati nel 1995 sul quadrimestrale “Astolfo” del Centro Universitario di Torino e, infine, riproposti nel 2011 dalle edizioni Plecticà). (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. l Curdi e i gladiatori di Pompei

È stata appena comunicata la recente scoperta, nell'antica Pompei, di un affresco rappresentante la fase finale di una mortale lotta tra gladiatori, un mirmillone e un trace, da quest'ultimo scorre il sangue come da più fontane. I miei versi parlano dei Curdi perseguitati, della politica violenta della Turchia, un paese che aderisce alla Nato (il cui Segretario senza voce è Jens Stoltenberg). La Russia, gli USA, La Siria, la Turchia, ma non solo, tentano di svilire la vita di un nobile popolo, giocandosene il respiro con carte truccate, piccoli cenni, avare concessioni, progressive spinte sempre più veloci verso il baratro. Infine, il sacrificio d’Ifigenia ci è raccontato da Euripide. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. La valigia vuota

Pochi giorni fa, il 2 ottobre, a Vallo della Lucania nel Cilento, una giovane donna ha chiamato il 118. L'hanno portata in ospedale. Nella sua abitazione (viveva sola e la sua professione era quella di badante), in un armadio è stata scoperta una valigia, dentro v’era una grossa busta di plastica, in essa delle asciugamani e in quelle il corpo morto di un bambino appena nato. Cosa rimane di noi nello sguardo di un altro? Siamo "come il pezzo di muro rimasto in piedi dopo lo scoppio di una bomba", dice Philip Roth in "L'animale morente", 2001, parlando di un suo personaggio, George, ancora vivo della sua morte inconsumata. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. La vita chiusa

Il teatro di Samuel Beckett ha portato all’estremo, con una semplicità stilistica non arginabile, la rappresentazione della mancanza di senso e di una vuota esistenza.

Parlando di Beckett, Augusto Romano (in Studi sull’ombra, scritto insieme a Mario Trevi nel 2009) dice: “Dalla vita non si esce, e perciò o la si affronta o la si subisce; tutti i tentativi per esorcizzarla sono soltanto modeste approssimazioni verso una meta che si allontana infinitamente”. (… segue>)

POESÌ di Rino Mele. Violenza e desolazione della violenza

"Io so che sulla terra non è possibile sopprimere la violenza; io so che la lotta per il potere divide l'uomo dall'uomo, dovunque uomini abitino l'uno accanto all'altro". Questo dice l'imperatore Augusto a Virgilio in un tesissimo dialogo sul potere, nell'indimenticabile libro di Hermann Broch, "La morte di Virgilio", del 1958. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Via Macallè

È accaduto in via Macallè a Cosenza, Rayem, di tre anni, tunisino (il padre è dal 1995 in Italia), per essersi avvicinato a un bambino ancora più piccolo nella carrozzina guidata dai genitori, è stato dal padre di questo preso a calci con parossistica violenza, "urlando si è avventato sul bambino, lo ha strattonato, e poi gli ha sferrato un calcio all'addome". Da rimanere impietriti: "Ho visto il piccolo fare un volo di due metri" racconta una ragazza che ha assistito all'aggressione (ed è "Repubblica" del 7 settembre a riportare la testimonianza").

In Che cos'è la guerra, l'ultimo libro di Domenico Quirico, appena edito da Salani, è descritta l’allucinata visita a una delle prigioni libiche in cui sono chiusi e sconciamente ammassati i migranti che attraversano la Libia. Molti ne muoiono. "I morti vengono gettati nelle immondizie". (… segue >)

POESÌ di Rino Mele. L’ostinato gridare

Le parole portano con sé fascinosi enigmi. Riusciamo a dire sempre meno di quello che esse nascondono, anche quando crediamo di avvicinarci a una necessaria chiarezza. Jacques Derrida usa un’immagine sorprendente (Il monolinguismo dell’altro, 1996, edito in Italia da Raffaello Cortina, 2004): “Tutto ciò che faccio, soprattutto quando scrivo, assomiglia a un gioco di mosca cieca: colui che scrive, sempre a mano, anche quando si serve di macchine, tende la mano come un cieco per cercare di toccare colui o colei che potrebbe dover essere ringraziato per il dono di una lingua, per le parole stesse nelle quali egli si dice pronto a rendere grazie. E anche a chiedere grazia”. Infine, Freud - di cui parlo nei miei versi - è nato nel 1856. Il suo paese oggi si chiama Příbor è nella Repubblica Ceca. 

POESÌ di Rino Mele. Noi rimasti a penare

Sulla nostra paura di ciò che viene dai luoghi scuri dei morti, residuo di antichissime credenze devastanti che i nostri sensi di colpa amplificano, Freud, in Totem e tabù(1913) cita una proposizione di Rudolf Kleinpaul: “I morti uccidono”. Nei quaranta versi di questa settimana, scritti per Agenzia Radicale, ho voluto rappresentare la nostra totale appartenenza al mondo degli scomparsi, e di essi al nostro, l’assenza di un ragionevole confine. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Lo Smartphone e la fatica di scrivere nel palmo della mano

Stiamo trasformando una grande occasione e opportunità estrema, in confuso balbettìo, comunicazione imprecisa, precipitoso ritorno a un linguaggio autoreferenziale in un'immedicabile solitudine: esaltazione di un ripetitivo gioco con se stessi nell'agonia dell'orizzonte politico. (... segue>)

POESÌ di Rino Mele. Le donne che guardano

Questo testo è l'elaborazione di L'aceto e le donne che guardano da me pubblicato inCostruzione della rima, Plecticà  2010. Il riferimento è alle ultime pagine del Vangelo di Marco (XV,40). Cristo è crocifisso, ne muore gridando, ma da lontano - come fossero vicine - innumerevoli donne ne spiano lo strazio, testimoniano l'assurdo che sono abituate a sopportare, a riconoscere nella loro quotidiana tortura, la guerra che non si placa e solo cambia maschera (“Erant autem mulieres de longe aspicientes”). (...segue>)