Tutti i miei interventi, 40 versi scritti due volte alla settimana, da venerdì 16 novembre 2018, sono stati scritti sempre poche ore prima che fossero pubblicati. Oggi esco fuori da questo schema, proponendovi l'inizio della mia traduzione del Cantico dei Cantici, l'apoteosi festosa e senza respiro di Sulamita e il suo amato attribuita con incertezza a Re Salomone, quasi 1000 anni prima di Cristo (Giovanni Garbini ritiene che da una prospettiva linguistica “vi siano elementi sufficienti per datare ilCanticointorno al 100.C”) e che ho pubblicato, con a fronte il testo di San Gerolamo, sulla "Rivista di Epistemologia Didattica", diretta da Salvatore Cicenia, nel numero 7-8 di novembre 2011. L'eros e la bellezza sono strade ancora riconoscibili, se non percorribili, per salvarci? Nella devastazione dell'inarrestabile precipitare, l’uccidere uccisi cui ottusamente ci costringiamo - costretti - ad ogni ora, siamo ancora capaci di avvertirne il suono?... (segue >)
Abbiamo tutti l'immagine di Trump e di Kim Jong Un, al deludente vertice di Hanoi appena concluso, con sullo sfondo - linea di confine - la nebbiosa minaccia della guerra nucleare che, insieme a quella del clima, rappresenta la più feroce vergogna che la nostra specie ha creato per sé con infinita impudenza. In questi versi, come un’ombra chiara, la testimonianza di uno dei maggiori psicoanalisti, Franco Fornari, che con la sua opera(ricordo appena Psicanalisi della guerra, Feltrinelli 1966,Psicanalisi della guerra atomica, Edizioni di Comunità, 1964,Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, 1970) più di tutti ha scavato nell'urlo omicida della guerra. L’incubo terrorizzante della guerra atomica esaspera i conflitti locali. Da quando, precipitando nel linguaggio, la specie umana s’è separata da se stessa è mossa dal senso di colpa che continua a spingere all’autodistruzione, e abbiamo già distrutto ciò che non abbiamo cessato di amare: “Ognuno porta dentro di sé uccisioni silenziose e nascoste” scrive Fornari in Psicanalisi della guerra. Al verso 13 dico che il padre “è il primo straniero”, ed è una citazione da Géza Roheim (“Il padre è il primo straniero nella vita del bambino e lo straniero è sempre il padre”). Infine il verso 9, la battaglia di Campaldino, dell’11 giugno 1289, in cui Dante si trovò tra i combattenti a cavallo, della prima schiera. (..... segue >)
“Antropocene” è una parola ideata dal premio Nobel per la chimica, Paul Crutzen. Antropocene indica la fase in cui il dominio dell’uomo sulla terra s’è fatto sentire nel modo più devastante e cupamente irreversibile. Lewis e Maslin (Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, edizioni Einaudi) dice: “Con la conquista delle Americhe si affermarono il mercantilismo capitalista, il colonialismo, l’industria finanziaria che sosteneva le missioni navali. E la grande disponibilità di materie prime e merci che arrivarono dall’altra sponda dell’Atlantico creò le condizioni adatte per la Rivoluzione industriale”. Prima delle stesse forze apparentemente inarrestabili dell'economia è stata, col suo orrore, la Seconda Guerra Mondiale a rendere veloci e violenti i processi di globalizzazione. Nel commentare il libro, Giuliano Aluffi precisa: “È stata l’ulteriore spinta globalizzatrice post-Seconda Guerra Mondale a portarci al mondo assediato dai gas serra di oggi”. Ma tutto avviene come in un’astrale distanza, la distruzione e lo scempio, la violenza ripetuta e lo sgomento, il nubifragio per chi non ha casa. (il mio paese è tra le radici delle montagne nell'ellisse di un altopiano, il Vallo di Diano, tra Cilento e Lucania).
Apollonio Rodio (III secolo avanti Cristo) e Valerio Flacco (primo sec. d.C.) dedicarono straordinari versi all'impresa degli Argonauti. Il poema di Valerio Flacco, forse incompiuto, inizia: "Canto i mari che furono strada a grandi eroi e la profetica nave". Fatidicam ratem: l'unica nave che sia stata capace di parlare. Il vello d'oro di un ariete, da conquistare. L'inconsumabile epopea di un viaggio senza fine.
L'Espresso del 29 gennaio è dedicato all'isola di Samos alle "migliaia di bambini, donne e anziani rinchiusi dietro il filo spinato, prigionieri degli accordi tra UE e Turchia". 117 morti il 18 gennaio, potevano essere salvati ma il protervo gioco dei rimandi, come a sottrarsi, e passare all'altro la responsabilità, ha voluto la catastrofe, la Guardia Costiera, il coordinamento di Tripoli, la sordità della Libia, le Ong rese prudenti, l'Europa ingessata a guardare la corrida finita: il toro, il torero, i cavalli dei picadores stanchi, si muovono in pozze di sangue mai asciugate. In una memorabile pagina, Camus scrisse che se di notte, dall'alto delle nostre finestre, udiamo un lacerante grido e non ci affrettiamo a portare aiuto a chi implora, siamo responsabili di quel dolore come la violenza di chi l'ha causato, e continua a infierire.
Il brano citato (“La morte si china sulla scacchiera e rimette a posto i pezzi. Il Cavaliere guarda oltre la morte, verso il viottolo. Mia sta giusto salendo sul carrozzone, Jof prende il cavallo per il morso e lo conduce verso il sentiero. La morte, presa com’è dalla ricostruzione del gioco, non s’accorge di nulla”) è tratto dal testo di Ingmar Bergman, per Il settimo sigillo, Edizioni Iperborea, 1999, un film di altissimo valore (1957). Sullo sfondo, le parole irrinunciabili dell’Apocalisse: “E quando aprì il settimo sigillo, in cielo fu silenzio. Ma solo per poco. E vidi i sette angeli che stanno dinanzi a Dio, e a loro furono date sette trombe. E venne un altro angelo, e si avvicinò all’altare, si fermò” (qui, nella mia traduzione dell’Apocalissedi Giovanni, Edizioni 10/17, 2002).
Il Botswana è grande quasi due volte l'Italia e ha solo due milioni d'abitanti, il nuovo presidente Mokgweesti Masisi teme la crescita del numero degli elefanti e riapre, dopo quattro anni, la caccia contro gli stessi interessi del turismo, li preferisce morti (v. "La Stampa" del 23 febbraio 2019). Infine gli ultimi due versi de Gli elefanti leggeri: ricordo una mattina tra il 1976 e il 77, un giorno di sole invernale, assistevo ad alcune riprese di Grand Hotel des Palmes nella campagna romana. Un film che Perlini (scriverò nel 1982 Il teatro di Memè Perlini) girò sulla morte di Raymond Roussel. Quel giorno assistevo alle riprese, prima andammo sui luoghi della morte straziata di Pasolini, poi lungo strade di campagna leggermente in salita, il copione prevedeva che un uccellino svolasse davanti al parabrezza di una vecchia berlina d'epoca. Era stato comprato un piccolo passero che si rifiutava di volare, spaventato dai rumori di quel set in movimento. Fu ripetuto più volte il tentativo. Poi, tra stupore e dolore, un operaio della troupe credette di risolvere il problema con la più assurda delle iniziative, aveva tra le mani il piccolo essere, fu un attimo, l'uccise e lo lanciò verso l'auto che saliva lentamente, simulando un impossibile volo. Il piccolo Icaro cadde miseramente.
Heidegger in Perché i poeti? (Sentieri interrotti, 1950) scrive che la loro parola "è un dire che è altro dal dire abituale degli uomini". Il testo di Heidegger (nella traduzione di Pietro Chiodi) termina: "Qual è il compito del poeta nel destino della notte del mondo? Questo destino deciderà di ciò che in questa poesia è storico, nel senso di conforme al destino". La poesia, i misurati corridoi, il labirinto di quella bellezza.
La sera del 18 febbraio sono tornato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nella sala dov'è esposto il famosissimo marmo del Supplizio di Dirce, una scultura alta quattro metri che racconta un mito dal doppio profilo, quello di Antiope vittima innocente e della regina Dirce (ora è lei a essere torturata). Un intrico parentale: il re di Tebe caccia via la figlia resa madre dalla divina lussuria di Giove, la ragazza si rifugia dallo zio Lico in Beozia, incorre nella gelosia della regina Dirce, da lei viene tormentata e i figli che ha avuto dal dio esposti sul Monte Citerone: sono Anfione e Zeto che vendicheranno la madre legando Dirce alle corna di un toro perché ne faccia strazio. Ero andato al Museo per salutare Simona Cavaliere e assistere allo spettacolo di danze barocche cui partecipava col gruppo fiorentino "La stravaganza" (e l'Ensamble barocco dell'Accademia Reale diretta da Giovanni Borrelli). L'armonia seduttiva degli sguardi dei danzatori e la fascinosa simmetria dei loro passi leggeri, sullo sfondo il bianco del marmo nell'orrore delle storie sovrapposte di Antiope e Dirce.
In Libia i migranti diventano, “definitivamente merce", ha affermato l'OIM di Ginevra, Organizzazione Internazionale Migrazioni. Nel 2017 settemila erano ospitati nei capannoni dei Centri di Detenzione libici Libia, nel 2018 sono raddoppiati.
Oggi, 18 gennaio, “Venerdì di Repubblica” dedica la copertina all'autografo de L'infinitodi Leopardi. Nelle prime pagine, scritti di Franco Cordelli, Franco Marcoaldi, Alfonso Berardinelli, Eraldo Affinati. Mi piace ricordare, del 2001 (edizioni dell'Arancio), un davvero prezioso libro sull'Infinito, dal titolo interno al testo analizzato, Interminati spazi sovrumani silenzi a cura di Vincenzo Guarracino. Centocinquanta critici ne sono il coro luminoso. Tra i nomi antologizzati, come non ricordare Giorgio Agamben (Memoria e ripetizione), Salvatore Battaglia (Ambiguità e disponibilità dell'espressione poetica), Jurij Michailovic Lotman (Lo spazio come oggetto di rappresentazione) e Pavese, con Figure d'Infinito, appena un frammento. Questo 2019 segna duecento anni da quando, a ventun anni, Leopardi scrisse L’infinito.