La sera del 18 febbraio sono tornato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nella sala dov'è esposto il famosissimo marmo del Supplizio di Dirce, una scultura alta quattro metri che racconta un mito dal doppio profilo, quello di Antiope vittima innocente e della regina Dirce (ora è lei a essere torturata). Un intrico parentale: il re di Tebe caccia via la figlia resa madre dalla divina lussuria di Giove, la ragazza si rifugia dallo zio Lico in Beozia, incorre nella gelosia della regina Dirce, da lei viene tormentata e i figli che ha avuto dal dio esposti sul Monte Citerone: sono Anfione e Zeto che vendicheranno la madre legando Dirce alle corna di un toro perché ne faccia strazio. Ero andato al Museo per salutare Simona Cavaliere e assistere allo spettacolo di danze barocche cui partecipava col gruppo fiorentino "La stravaganza" (e l'Ensamble barocco dell'Accademia Reale diretta da Giovanni Borrelli). L'armonia seduttiva degli sguardi dei danzatori e la fascinosa simmetria dei loro passi leggeri, sullo sfondo il bianco del marmo nell'orrore delle storie sovrapposte di Antiope e Dirce.
In Libia i migranti diventano, “definitivamente merce", ha affermato l'OIM di Ginevra, Organizzazione Internazionale Migrazioni. Nel 2017 settemila erano ospitati nei capannoni dei Centri di Detenzione libici Libia, nel 2018 sono raddoppiati.
Oggi, 18 gennaio, “Venerdì di Repubblica” dedica la copertina all'autografo de L'infinitodi Leopardi. Nelle prime pagine, scritti di Franco Cordelli, Franco Marcoaldi, Alfonso Berardinelli, Eraldo Affinati. Mi piace ricordare, del 2001 (edizioni dell'Arancio), un davvero prezioso libro sull'Infinito, dal titolo interno al testo analizzato, Interminati spazi sovrumani silenzi a cura di Vincenzo Guarracino. Centocinquanta critici ne sono il coro luminoso. Tra i nomi antologizzati, come non ricordare Giorgio Agamben (Memoria e ripetizione), Salvatore Battaglia (Ambiguità e disponibilità dell'espressione poetica), Jurij Michailovic Lotman (Lo spazio come oggetto di rappresentazione) e Pavese, con Figure d'Infinito, appena un frammento. Questo 2019 segna duecento anni da quando, a ventun anni, Leopardi scrisse L’infinito.
L’ultimo numero di “Internazionale”, ancora in edicola, riporta da “The New York Times” un lungo articolo di Brooke Jarvis, dal titolo, Un mondo senza insetti. Eccone un breve passaggio: “L’estinzione è una tragedia profonda, che tutti possono comprendere. Non c’è modo di tornare indietro. La colpa di aver fatto scomparire una specie unica al mondo è eterna”.
Fernando Aiuti è stato un immunologo dallo straordinario impegno nella lotta all’Aids. Mercoledì 9 gennaio, due giorni fa, alle 11, è caduto (o si è lasciato cadere) dal quarto piano nel vuoto interno alle rampe delle scale del Policlinico Gemelli. Mi ricorda l’angosciosa fine di Primo Levi, gettatosi dall’alto delle scale della sua casa. Ne scrissi tredici anni dopo, nel mio Il sonno e le vigilie (edizioni Sottotraccia, 2000). 14 versi, quanto quelli di un sonetto. Il testo è intitolato Morirsi, terminacosì: “L’11 aprile Levi seppelliva (correndogli / incontro) l’orrore, chiudeva tra le dita altre dita”.
32 a bordo della Sea Watch, e 17 sulla Sea Eye, da diciotto giorni al largo di Malta, su un mare che non dà tregua. E l’inumana protervia della politica, la nostra, e quella europea, incapaci d’interpretare la tragedia, di trasformarla in un forte disegno chiaro.
Il delirante aspetto del tempo, sempre già vissuto, lo sguardo rivolto indietro, prigionieri di un presente irraggiungibile, impedito dalla coscienza. Come quando assistiamo alla proiezione di un film, e sappiamo di vedere quello che la macchina da presa ha già visto prima di noi, e stabilito per il nostro sguardo.
“Anziché nutrirsi di una placenta che lo avvolgeva protettivamente, a furia di voltarsi e rivoltarsi aveva schiacciato proprio il cuscino che avrebbe dovuto nutrirlo, In medicina si chiama placenta previa”. Sono le informazioni che nella prima pagina del suo Corpo felice, Rizzoli 2018, Dacia Maraini dà al lettore. Un libro affascinante come un enigma sull’indecifrabilità del dolore. Il manifesto è del 1969, Isolina del 1992.
La nudità è una categoria cara a Meister Eckhart filosofo e mistico (1260-1328) tanto da giungere, nella “Glossa sulla più alta gioia”,a indicare il rispecchiarsi della mens purificata, dell’anima, in Dio come l’incontro tra due nudità: “Allora la nudità risplende contro la nudità”.
Fu Hegel a definirlo così, e mai parola fu più precisa. Un luminoso sintagma (“l’animale malato”) nel rappresentare le contraddizioni irrisolvibili dell'uomo.
Nel sonno la nostra vita raggiunge una spezzata compiutezza. Poi, a ogni nuova alba ci ritroviamo nel nostro disperante tentativo di tenere insieme ciò che confusamente siamo (nel sonno che si ripete) e ciò che dovremmo essere (nelle regole della veglia).